Salvini, Israele e l’Intifada dei Coltelli. Una propaganda che ha il sapore del sangue e del populismo

Parlando oggi della situazione Israelo-palestinese ci troviamo di fronte ad uno scenario caotico ed in pieno fermento: ad Agosto 2015 è scoppiata l’ “Intifada dei Coltelli”, e i palestinesi stanno vedendo cambiare molto velocemente la loro situazione, a causa della svolta diplomatica e della successiva suddivisione e riformazione degli schieramenti politici palestinesi che formano i partiti nazionali (Fatah, Hamas, FPLP, ecc..).

Della antica palestina rimane ben poco in possesso dei palestinesi: la situazione nella striscia di Gaza è di completo isolamento, sia dalla parte egiziana (valico di Rafah) che da quella Israeliana (valico di Erez), vige un embargo che impedisce la ricostruzione degli edifici distrutti in seguito ai bombardamenti delle città e l’approvvigionamento di beni primari per la popolazione. Il valico di Rafah ha recentemente riaperto, sebbene con grosse limitazioni alla circolazione di merci e persone. Inoltre, lo stato israeliano ha confermato ancora una volta la sua ipocrisia e il suo disprezzo verso la popolazione araba, in particolar modo palestinese, offrendo ai palestinesi la possibilità di lasciare liberamente la Striscia, a patto di non tornare almeno per due anni nei suoi confini. La città vecchia di Gerusalemme, che fa parte dei territori occupati dal 1967, non viene considerata territorio palestinese dalla comunità ebraica (è capitale di Israele dal 1980), ma se da un parte i vari piani di costruzione e successivo insediamento israeliano si susseguono senza tregua, nella speranza di diventare de facto la capitale (ci vive circa il 45% della popolazione Israeliana), dall’altra esistono palestinesi “a statuto speciale”, persone che vivono in Israele ma che possono “liberamente” circolare e lavorare nei suoi territori, un inglobazione che mina duramente anni di lotta identitaria e il principio dell’autodeterminazione.

È proprio qui che si svolgono molti degli episodi che si richiamano all’Intifada, nel luogo dove giorno dopo giorno l’occupante israeliano isola ed umilia il palestinese, stremandolo attraverso continui e variegati soprusi, costringendolo alla fuga o alla reazione, disumanizzandolo, impedendo alla popolazione di esercitare i propri diritti primari, o più semplicemente, la possibilità di avere una vita normale, di potersi muovere liberamente, comprare ciò che vuole, fare il lavoro o il percorso di studi che preferisce. Infine, i territori della West-Bank sono sempre più oggetto delle mire espansionistiche dei coloni, i quali, supportati, finanziati e incoraggiati dallo stato d’Israele, cacciano i palestinesi dalle loro case, anche attraverso leggi israeliane ad hoc che le dichiarano abusive, nonostante siano lì da decenni, demolendole od occupandole , bruciando le loro terre e le loro coltivazioni, cacciando i loro greggi.

Seppur attraverso soprusi diversi, la strategia israeliana usata per i palestinesi di tutta la West-Bank è simile a quella usata contro gli antichi abitanti di Gerusalemme: stremarli, rendere la loro vita invivibile, costringendoli ad andarsene o a reagire (reazione che permette poi di giustificare nuovi soprusi israeliani). Non è un caso che nella west-bank non esistano servizi come quello sanitario, cioè gli ospedali, e che per poterne usufruire gli abitanti debbano aspettare ore ai check-point di confine per raggiungere le strutture presenti in Israele; facendo solo uno degli innumerevoli esempi, ci sono donne palestinesi che, rimanendo bloccate per ore ai check-points, finiscono per partorire davanti ai soldati che le sorvegliano, senza neppure raggiungere l’ospedale.

Su quella che è una situazione di guerra aperta, che va avanti da più di settant’anni, si sono espressi più e più volte i potenti del mondo (le potenze mondiali e l’ONU), rivendicando sempre il diritto all’esistenza di uno stato Israeliano, sostenendone la legittimità e al tempo stesso, attraverso soluzioni raramente imparziali, auspicando un cessate il fuoco bipartisan e duraturo. Ma le varie risoluzioni proposte, le situazioni dinamiche interne dei ai due paesi, e l’influenza dei condizionamenti esterni, cosi come le varie spinte geopolitiche che intanto muovevano anche il resto degli avvenimenti nel mondo, hanno fatto sì che una tale situazione di equilibrio non si verificasse mai: al contrario queste dinamiche hanno portato a diverse guerre civili e al compiersi di un lungo e lento genocidio del popolo palestinese; non sono mai stati, e non sono ad oggi, assolutamente confrontabili i numeri delle guerre tra i due paesi, in termine di perdite umane, basti pensare che durante l’operazione Margine di Protezione, sono morti circa 2200 residenti a Gaza, di cui circa 1600 civili, mentre per la fazione Israeliana sono mancati 72 elementi, di cui 6 civili.

Al giorno d’oggi, durante la terza Intifada, quella dei Coltelli, l’ “unica democrazia del Medio Oriente” approva nel suo parlamento leggi che non hanno niente di diverso da quelle emanate ai tempi di dittatori come Hitler, Franco o Mussolini: il divieto di avere bandiere della propria nazione per i Palestinesi, o di manifestare pacificamente il proprio dissenso verso la loro condizione di isolamento e marginalizzazione sono le cose più banali che ci si può trovare a leggere riguardo a questo argomento.

In Israele possono essere arrestati anche i bambini ed esiste il reato di detenzione amministrativa, ovvero la possibilità di poter mettere in carcere chiunque, senza motivazione, per un massimo di tre anni (pene comunque rinnovabili senza motivazione) e tutto questo in nome di una sicurezza interna che sembra sempre più un allucinazione, tanto essa è diventata il pretesto per compiere atrocità inqualificabili.

Secondo i termini del Diritto Internazionale, gli atti compiuti dai soldati israeliani o dai coloni dovrebbero essere duramente puniti ma sono più che giustificati per uno degli eserciti più addestrati e meglio armati del mondo poiché l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, non possono che chiudere gli occhi, a causa del legami economici e geopolitici con i sionisti, unitamente ai vincoli storico-ideologici della retorica della Shoah.

In questo scenario, che come minimo si può definire ai limiti del macabro, abbiamo la fortuna di poter sentire il parere di uno dei Vate della nostra generazione, Matteo Salvini.
Durante un viaggio “per imparare la democrazia” si esprime dicendo che “30 mila soldati di Hamas (finanziati da chi?) tengono in ostaggio milioni di persone”.

Traspare chiaramente almeno l’ignoranza: per chi, come lui, viaggia liberamente per il mondo, evidentemente non è possibile pensarsi rinchiuso da mare e mura, come a Gaza, ma per chi vive messo alle corde questa possibilità non esiste.

E’ chiaro che, ritenendo giusti e onesti i metodi della resistenza, non si può che comprendere chi combatte e cerca di respingere il suo invasore per vivere la sua terra, ma, visto e considerato che più di una volta Israele ha formalmente (ma non realmente) accettato accordi con Hamas in situazioni di difficoltà, per poi tirarsi indietro una volta calmate le acque e riorganizzate le idee.

Voglio chiedermi una cosa, e chiederla a Salvini: chi è che tiene in ostaggio chi? Quelli che hanno i soldati, il secondo miglior esercito al mondo (logisticamente parlando) e le armi atomiche, oltre che i finanziamenti e il benestare delle potenze occidentali? Oppure colore che si costruiscono i razzi in casa con materiali di fortuna e attaccano con pietre e coltelli uomini armati fino ai denti?

Salvini, ancora una volta, non ha perso occasione per fare scempio di una delle situazioni di resistenza più attuali, al solo scopo di tirare acqua al suo mulino: quello dell’ignoranza e del becero populismo. Milioni e milioni di persone manifestano per la Palestina ogni giorno, in ogni città, e altrettante ne festeggiano le ricorrenze, riconoscendo il valore culturale e umano di una popolazione che resiste ogni giorno, e che paga col proprio sangue la propria rivendicazione di libertà.

Infangare queste lotte e queste persone è l’ennesimo atto di inciviltà di una persona che non ha niente di politico nelle dichiarazioni che fa e nei suoi apprezzamenti verso paesi di questo tipo e la loro struttura politica e legislativa, ma che fa perfettamente lo sporco gioco del populismo massmediatico, levando al cittadino medio la possibilità di avere informazioni concrete e reali e regalandogli, al contrario, visioni distorte di situazioni al limite dell’invivibile, fomentando così la visione di un mondo dove resistere è una colpa, e pensare diversamente un reato.

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