La sanità in Toscana e a Lucca. C’è bisogno di lottare per riprendersi il diritto alla salute.

Oggi presentiamo ai nostri lettori il report di un’assemblea pubblica sulla sanità in Toscana e a Lucca che si è tenuta il 2 aprile scorso presso il Dopolavoro ferroviario. Il Tafferuglio non era ancora nato, ma uno dei nostri redattori era presente all’assemblea. Data l’importanza dell’argomento sanità pubblica, la cui qualità è diminuita sensibilmente con l’apertura del nuovo ospedale San Luca costruito in project financing, e nonostante da quell’incontro siano già trascorse alcune settimane, abbiamo scelto di dare visibilità al ricco dibattito che si è svolto in quella giornata, aggiungendovi alcune nostre considerazioni. Considerazioni che riteniamo ancora più attuali e urgenti alla luce del triste episodio degli ultimi giorni che ha portato l’ospedale San Luca alla ribalta delle cronache nazionali e che tuttavia, pensiamo, non è che la punta dell’iceberg di un sistema sanitario pubblico sempre più definanziato e abbandonato a se stesso.

Sabato 2 aprile 2016 si è svolta presso il Dopolavoro ferroviario di Lucca un’assemblea dal titolo: La sanità in Toscana e a Lucca. All’incontro, co-organizzato da diversi soggetti (Federazione della Sinistra – P.R.C – P.d.C.I. – Sì Toscana a Sinistra – Sinistra Italiana – USB Unione Sindacale di Base), erano presenti circa 50 persone.

Per primo ha preso la parola Paolo Sarti, Consigliere regionale Sì toscana a Sinistra, medico pediatra, membro della commissione sanità e politiche sociali, con un intervento dal titolo: “Cosa cambia nel servizio sanitario pubblico toscano dopo l’approvazione della L.R. 84/2015”. L’intervento di Sarti ha fatto il punto sulla posizione centrale che il settore della sanità (corrispondente all’ 87 % del budget regionale) riveste nelle politiche del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, sostenuto dal Pd e giunto al governo regionale dopo 10 anni in cui ha rivestito l’assessorato alla sanità. Sarti ha infatti sottolineato come la spending review da un lato e l’accentramento dei poteri in materia di sanità siano i due pilastri delle politiche di Enrico Rossi. Basti pensare all’accorpamento delle precedenti 12 Asl in 3 maxi Asl che rispondono direttamente a lui, alla riduzione dei poteri di controllo del consiglio regionale, passati alla giunta, alle tendenze alla privatizzazione della sanità pubblica che verranno favorite dall’ultima legge regionale approvata in dicembre. Sarti ha inoltre ribadito il pieno sostegno della lista Sì-Toscana a sinistra al comitato promotore del referendum sulla legge regionale, sottolineando il carattere antidemocratico della giunta Rossi, che pur di evitare il referendum popolare per cui erano già state raccolte 55.000 firme (sulle 40.000 necessarie) ha deciso di modificare in maniera pesante la stessa legge che i consiglieri del Pd avevano approvato nel marzo 2015, facendo saltare il referendum. Contro lo scippo del referendum è stato presentato ricorso al Tar (la discussione è prevista per il 16 maggio prossimo), un ricorso che i due consiglieri di Sì-Toscana a Sinistra, Tommaso Fattori e lo stesso Sarti, hanno deciso di sostenere di tasca propria, sborsando i 7200 euro necessari. Un gesto di coerenza che è stato molto apprezzato dai comitati, che per il tramite di Giuseppe Ricci hanno ringraziato ancora una volta i due consiglieri.

Ed è stato proprio lo stesso Ricci, animatore instancabile del comitato referendario a prendere subito dopo la parola. L’intervento di Ricci si è contraddistinto per una ferma indignazione contro le politiche del presidente Rossi e contro gli atti truffaldini con cui ha deciso di sabotare il referendum abrogativo della legge da lui approvata (non solo la riscrittura della legge, ma anche la modifica della composizione del collegio di garanzia per impedire il ricorso del comitato referendario). Il rappresentante del comitato referendario ha sottolineato la situazione di allarme democratico della fase che stiamo vivendo. Contro il decisionismo autoritario di Rossi è necessario svegliarsi, reagire e riprendersi il diritto al referendum. L’intervento si è concluso ribadendo, malgrado le difficoltà e lo scoraggiamento derivato dallo scippo del precedente referendum, la necessità di non mollare e di far ripartire la raccolta firme per riconvocarne uno nuovo.

A tenere l’ultimo intervento, dal titolo “Conseguenze per prevenzione e cure a seguito dell’approvazione del decreto <<appropriatezza>>” ( decreto al momento sospeso) è stato Alessandro Romboli, medico di base. Il decreto se approvato imporrà ai medici di non prescrivere una serie di esami diagnostici e di farmaci che eccedono una certa spesa. Pena, il perdere posizioni in una graduatoria volta a premiare i medici meno “costosi” per la Asl. Le spese eccedenti andranno infatti a carico del budget dei singoli dottori. Che poi questo minor costo per la Asl rischi di avere come conseguenza un aggravamento della salute dei pazienti sembra essere un dettaglio poco rilevante. Magie della spending review.

Il dottor Romboli ha poi sottolineato come questa scelta sia non solo lesiva del diritto alla salute dei cittadini, ma anche antistorica, in quanto l’evoluzione delle patologie e delle cure mediche rende la medicina preventiva e difensiva sempre più centrale, al punto da richiedere maggiori investimenti, non certo tagli o corse al risparmio. Romboli ha inoltre ribadito la necessità di non sottostare a questo ricatto, e che è certo meglio rischiare di finire davanti alla Corte dei Conti per un eccesso di spesa che davanti al giudice per mancata prevenzione e controllo di situazioni potenzialmente a rischio nei pazienti.

L’introduzione di logiche competitive individualizzanti volte a “tagliare gli sprechi” e “rendere più efficiente il servizio” non può non ricordarci analoghe dinamiche riscontrabili in altri ambiti, ad esempio nel mondo della scuola, con il premio di merito introdotto dalla riforma renziana, di cui abbiamo già parlato un po’ di tempo fa.

L’intervento di Romboli si è poi soffermato sul nuovo modello di ospedale che è stato inaugurato con l’apertura del San Luca. Un ospedale ad alta intensità di cura, in cui la degenza massima è di 5 giorni e in cui, nell’assenza sul territorio di una adeguata rete di centri e di servizi post-degenza, molti pazienti rischiano di essere sbattuti fuori e lasciati a se stessi prima di essere guariti.

Si è poi aperto il dibattito. Molti gli interventi in sala sia di cittadini che di lavoratori della sanità.

Tra i punti più ricorrenti al centro degli interventi c’è stata la sostanziale assenza di partecipazione alle lotte da parte dei lavoratori della sanità (dovuta anche, va detto, a una condizione di ricattabilità a cui questi sono sottoposti), il livello di stress che questi subiscono a causa del blocco del turn-over e di un organico sottodimensionato rispetto ai pazienti in cura, la necessità di far prendere consapevolezza ai cittadini delle cause strutturali, politiche, che stanno alla base dello scadimento del servizio sanitario nazionale e regionale. Da ultimo, il bisogno di una forte spinta giovanile che dia maggiore energia alle lotte dei comitati. Comitati di cui è stata ribadita l’utilità e la necessità come strumenti per ricomporre la frammentazione sociale e politica, senza tuttavia esaurire la loro azione in raccolta firme o esposti in procura. È stata inoltre avanzata la proposta di ottenere una stanza all’ex ospedale di Campo di Marte come luogo di organizzazione e di riunione per i comitati, nonché quella di lottare perché la struttura dell’ex ospedale resti ad uso pubblico.

Da ultimo, qualche nostra considerazione. Il triste episodio degli ultimi giorni che ha visto un paziente vedersi asportato il rene sano in luogo di quello malato, ha portato la situazione dell’ospedale San Luca alla ribalta nelle cronache nazionali. Non pensiamo certo che un errore così macroscopico possa essere imputato semplicemente a condizioni di lavoro via via sempre peggiori e che sicuramente pesano in negativo sulla qualità del servizio che i medici e gli infermieri possono offrire ai pazienti. C’è sicuramente di mezzo una grave imperizia personale che necessita di essere accertata e sanzionata.

Ci chiediamo tuttavia: quanti altri episodi, piccoli e meno piccoli, di assistenza mancata o sbrigativa, i cittadini hanno potuto constatare nel nuovo ospedale a due anni dalla sua apertura? È davvero possibile pensare che questo scadimento (e ci riferiamo in primo luogo al caos del pronto soccorso), sia imputabile a semplice disorganizzazione o a un’imperizia del personale? Noi pensiamo di no. Pensiamo invece che queste condizioni siano direttamente correlate alla struttura del nuovo ospedale, al modello di sanità al ribasso e sempre più privatistica e a pagamento (dai ticket al parcheggio) da esso varato e, da ultimo, alle politiche del presidente della regione Toscana Enrico Rossi.

Pensiamo anche che non basti fermarsi alla denuncia e all’indignazione di fronte al fatto compiuto. Come hanno affermato quasi tutti gli interventi che si sono svolti in sala, quello di cui c’è bisogno oggi è di una spinta congiunta di lavoratori della sanità e di cittadini che contrasti e boicotti quelle politiche che riducono il nostro diritto alla salute, e quindi alla vita. Una spinta di cui dovrebbero essere parte integrante soprattutto i giovani, in particolare coloro che studiano per entrare nel mondo della sanità, nonché le strutture politiche organizzate che rivendicano l’accesso universale al diritto di cura. Una spinta che finora evidentemente è mancata e che si fa sempre più necessario mettere in campo.

L’invito che facciamo dunque è che, anche a partire da episodi come questi, si sviluppi nei cittadini una maggiore disponibilità ad informarsi e a partecipare attivamente alle lotte dei comitati, interrogandone i limiti e cercando se necessario nuovi percorsi e metodi di lotta.

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