Valutare e punire. Su un episodio di repressione al Liceo Scientifico Vallisneri in occasione del boicottaggio dei quiz Invalsi.
Anche quest’anno i quiz Invalsi non sono filati lisci. In tutta Italia si sono registrati boicottaggi e azioni contro i test che vorrebbero uniformare la didattica e mettere in competizione tra di loro gli istituti scolastici.
Matteo Renzi aveva promesso che gli Invalsi, istituiti dal governo Berlusconi come prova puramente statistica, poi strutturati annualmente, sarebbero stati aboliti con la Buona Scuola. In realtà questi test dal costo multi-milionario (costo totale di 14 milioni annui) si configurano come sempre più funzionali alla scuola autoritaria, nozionistica e omologata che il duo Renzi-Giannini hanno disegnato.
I test hanno infatti lo scopo di valutare le conoscenze e le competenze degli studenti, e con la Legge 107 (Buona Scuola) sono utilizzati per dare un giudizio sulla didattica della scuola. Peccato che le due prove (matematica e italiano), basate su domande con risposta multipla, non possono in nessun modo dare un quadro realistico del livello di studio e apprendimento degli studenti. Tantomeno per una materia come l’Italiano che poco si presta a essere ridotta a misurazione per mezzo di un test a crocette. Lascia ancora più perplessi il fatto che la prova sia la medesima per tutti gli istituti (licei, istituti tecnici e professionale) senza tener conto delle differenze circa i programmi di studio e le differenze socio-economiche tra gli studenti che le frequentano. Il voler conformare la didattica al modello dei quiz a crocette (perché questo avviene, dal momento che le scuole che ottengono i punteggi più alti beneficiano di più fondi) tende a produrre omologazione e assenza di dibattito e pensiero critico tra gli studenti, privandoli della possibilità di accedere a diverse visioni e interpretazioni del mondo e dei saperi disciplinari (la verità oggettiva sarà forse accertabile in maniera esatta per la matematica e le materie scientifiche, non certo per quelle umanistiche).
In un contesto in cui si vuole rendere la scuola puramente funzionale al mondo del lavoro (e funzionale oggi vuol dire, alla lettera, instillare una pedagogia dell’auto-sfruttamento e della sottomissione come forme di autovalorizzazione; si veda l’alternanza scuola-lavoro, di cui avevamo già parlato), una scuola nozionistica e autoritaria, questo tipo di test risulta estremamente utile.
Peccato invece che la legge suprema dello Stato, la Costituzione, disegni una scuola vocata alla partecipazione democratica, alla libertà di insegnamento, alla libera gestione dell’istruzione e alla formazione di sapere critico. Sappiamo poi che tali principi di rado vengono rispettati, e il diritto allo studio in particolare è costantemente negato dai tagli regolari alla ricerca e ai finanziamenti per gli istituti. Proprio per questo i test Invalsi sono stati legittimamente boicottati, perché veicolano un modello di istruzione autoritaria, che incentiva l’ omologazione, il conformismo, la competizione tra istituti per le scarse risorse distribuite
In tutta Italia si sono registrati boicottaggi e proteste, da Padova a Napoli innumerevoli sono state le azioni degli studenti autorganizzati. Non ci sono ovviamente dichiarazioni da parte del Ministero dell’Istruzione, che tenta di sminuire il fenomeno di vero e proprio sabotaggio e che non ha mai lasciato trapelare informazioni sulla reale partecipazione degli studenti a questi test, e soprattutto chiarificazioni sull’utilizzo che viene fatto dei risultati.
A Lucca il Collettivo Autonomo Studenti Lucchesi si è impegnato per spingere al boicottaggio i giovani studenti dei vari istituti. Non ci sono ancora dati certi sull’effettivo svolgimento dei test. In molte scuole parecchi alunni si sono rifiutati di svolgerli, anche se spesso la mancata partecipazione dei professori alla protesta scoraggia gli studenti più giovani, intimoriti dall’autorità e minacciati con sanzioni disciplinari. Troppo pochi infatti risultano ad oggi i professori che solidarizzano apertamente con gli studenti in costante mobilitazione contro i provvedimenti del governo Renzi. Pur essendo essi stessi i primi a subire gli effetti di provvedimenti della Buona Scuola, si sentono chiamati ad adempiere agli obblighi lavorativi invece che aderire agli scioperi dei Cobas o dei sindacati confederali.
Particolarmente preoccupante è il caso di repressione al Liceo Scientifico A.Vallisneri. Nella mattinata di giovedì 12, alcuni militanti del Collettivo Autonomo Vallisneri hanno chiuso simbolicamente tutti i cancelli impedendo momentaneamente l’accesso all’edificio per manifestare il loro rifiuto dei quiz Invalsi e per invitare gli altri studenti al boicottaggio. Molti studenti sono comunque entrati prima e hanno trovato sui banchi i test, rifiutandosi in diversi casi di compilarli. Nella 2°SA, 8 studenti hanno legittimamente staccato l’etichetta del test di italiano, evitando la schedatura e rifiutando la compilazione. La professoressa Carnesecchi, di turno nell’ora, si è sentita in dovere di punire l’atto di protesta con un rapporto disciplinare sul registro di classe, andando così a minare la valutazione della condotta finale degli studenti.
Non sono novità gli atti di intimidazione verso gli studenti, nel Liceo. Già in autunno la Preside Monica Ceccherelli, si era fatta notare per il suo pugno di ferro nei confronti degli studenti del collettivo, spegnendo sul nascere i tentativi di autogestione della scuola e ricorrendo a minacce di denunce e sanzioni disciplinari anche illegittime.
Lo Statuto degli studenti e delle studentesse (DPR 24/06/1998, n. 249) chiarisce che “in nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità.” (art.4 comma 4) e non menziona nessun obbligo di svolgimento verso i test a cui gli studenti sono sottoposti. La professoressa e la preside si sono sicuramente evitate di leggere attentamente tale statuto ma, preoccupate solamente di imporre la loro autorità e reprimere la legittima protesta degli studenti, hanno agito come il governo Renzi si aspetterebbe da loro.
Sono decenni che la figura del professore viene sminuita e rimodellata, sono anni che i lavoratori della scuola subiscono riforme senza essere interpellati, e da sempre c’è il tentativo della classe politica di ricondurre il professore alla mera funzione nozionistica e valutativa. Valutare e punire sembra essere lo slogan adatto a rappresentare il tipo di curvatura che la riforma renziana ha voluto dare al mondo della scuola. Tutto ciò che rischia di debordare, di produrre agitazione e insubordinazione delle intelligenze, deve essere messo al bando. Se non ci sorprende l’atteggiamento della preside, ci sorprende invece la mancanza di solidarietà della maggioranza dei professori, che pur essendo anche loro vessati dalla riforma renziana e sottoposti a meccanismi arbitrari di valutazione della qualità del loro insegnamento, non trovano il coraggio di schierarsi a fianco di quel pezzo di mondo studentesco da anni in lotta e che sarebbe il primo alleato su cui potrebbero contare.
Nessun commento è ancora arrivato dalla Dirigenza del Liceo che, direttamente interpellata, ci lascia con un no comment sulla faccenda invalsi. Silenzio anche dal personale della segreteria e dai professori a cui non è evidentemente concesso di fare commenti.
Il Collettivo Autonomo Studenti Lucchesi si dice pronto a continuare la protesta dentro le scuole e nonostante la dirigente del Liceo Scientifico si rifiuti di dialogare con nessun altro oltre ai rappresentanti eletti (altra azione illegittima), gli studenti del Vallisneri si adopereranno per far ritirare i provvedimenti disciplinari. Per questo riteniamo fondamentale denunciare tali atti di intimidazione ed esprimere piena solidarietà agli studenti colpiti, invitando tutti i loro compagni e quella parte del corpo docente ancora capace di pensiero critico e di resistenza a fare lo stesso.