L’ospedale di Lucca è in vendita? Il project financing e la privatizzazione degli ospedali

Ha fatto molto discutere, nei giorni scorsi, la notizia che il gruppo Astaldi, che ha in parte contributo alla realizzazione dei 4 nuovi ospedali toscani (tra cui quello di Lucca), e che attualmente ha in concessione un’ampia serie di servizi non sanitari (manutenzione, pulizie, verde, trasporti, ristorazione, lavanderia, sterilizzazione, smaltimento rifiuti, ecc.) e commerciali (parcheggi, bar, negozi, edicola, ecc.) connessi ai nuovi ospedali, ha deciso di mettere in vendita queste concessioni. La consigliera della Federazione della Sinistra di Lucca Roberta Bianchi ha presentato ieri un’interrogazione al sindaco Tambellini sulla questione.

Riteniamo opportuno mettere i nostri lettori a conoscenza di che cosa sia il project financing, lo strumento con cui è stata co-finanziata la costruzione dell’ospedale San Luca e che rende possibile al privato gestire liberamente, per i propri interessi e profitti, una serie di servizi che invece dovrebbero rimanere di competenza pubblica.
Ricondividiamo perciò questo articolo
di Luca Benci su Salute internazionale, che illustra le preoccupanti conseguenze del il project financing: un’espropriazione del potere dei cittadini di decidere in materia di sanità pubblica, tutto a vantaggio dei privati.

I servizi non sanitari diventano una gallina dalle uova d’oro per fare rientrare il privato dai costi sostenuti per la costruzione dell’ospedale. Di fatto l’ospedale viene gestito da un privato per un numero enorme di anni con costi di gestione per il socio pubblico che rischiano di essere insostenibili. Secondo la Corte dei Conti del Veneto il project financing non è adatto per gli ospedali. Dal punto di vista dei conti pubblici una vera e propria Caporetto.

Negli ultimi anni, in alcune regioni, per la costruzione (e anche per la ristrutturazione) di ospedali ci si è affidati a una nuova tecnica finanziaria: il project financing.

Il project financing o finanza di progetto viene introdotto in Italia con la c.d. legge Merloni[1] e successivamente integrato e modificato con altre disposizioni normative con cui si dà la possibilità a un operatore privato, definito “promotore”, di realizzare opere pubbliche attraverso un contratto di concessione.

Quando un ente o una azienda pubblica vogliono realizzare un’opera hanno davanti a loro due strade: l’appalto e, oggi, la concessione. Con l’appalto il committente pubblico progetta un’opera e demanda la sua realizzazione a una società privata dietro un compenso. Con la concessione – e quindi con la finanza di progetto – il privato finanzia l’operazione – o più correttamente, come nel caso degli ospedali, una parte dell’operazione – in cambio della gestione – o di parte di essa – dell’opera stessa per un numero ampio di anni: in genere dai venti ai trenta anni.

Questa “tecnica finanziaria” prevista dall’ordinamento giuridico prevede due diversi tipi di concessione:

  • a) la concessione con ricorso al mercato;
  • b) la concessione con utilizzazione diretta dell’opera da parte della pubblica amministrazione concedente.

Il primo caso concerne, in genere, le opere c.d. “calde” che sono quelle che sono capaci di generare flussi di cassa. In questi casi il committente pubblico non corrisponde somme di denaro al concessionario – o comunque in modo limitato – in quanto permette al concessionario stesso lo sfruttamento dell’opera per un congruo numero di anni per permettergli di riprendere l’investimento.Esempio tipico è quello dei parcheggi.

Nel secondo caso invece si tratta in genere di opere c.d. “fredde” che sono caratterizzate dal non generare flussi di cassa (es. gli ospedali). In questi casi per permettere al privato-concessionario di recuperare l’investimento si concede al privato per un numero importante di anni – dai venti ai trenta – di gestire direttamente l’opera. Negli ospedali la gestione è in genere diretta alle attività non sanitarie.

La finanza di progetto viene giustificata dall’ingresso di capitali privati in un contesto in cui il pubblico non mette risorse ma permette lo sfruttamento dell’opera al privato. Alla fine del periodo di concessione l’opera è interamente pubblica.

Le cose non stanno esattamente in questi termini. Nel caso degli ospedali si realizza una compartecipazione pubblico-privato. Il socio pubblico può essere anche azionista di maggioranza. Dato che l’ospedale non genera un reddito – come un parcheggio o un’autostrada – il socio pubblico, che risulterà essere l’unico cliente dell’opera, si impegna a pagare un canone di concessione per il tempo della concessione stessa.

Vi sono differenze sostanziali con l’usuale sistema degli appalti. Una delle più rilevanti è data dalla modalità di gestione dell’opera stessa. Nell’appalto è l’azienda pubblica che gestisce i lavori, che ne assume la titolarità e i controlli. Nel sistema della concessione invece è il privato che gestisce i lavori e non deve sottostare alla legge pubblica sugli appalti. Ha le mani, decisamente, più libere.

Gli ospedali costruiti con finanza di progetto vengono giustificati con il finanziamento che assicurano i privati all’opera. Questo, in realtà, non è del tutto vero. Per la normativa il privato non deve mettere soldi propri ma deve chiedere un mutuo che deve essere garantito dal socio pubblico. La domanda che sorge spontanea risulta di conseguenza. Per quale motivo il socio pubblico non accende direttamente il mutuo invece di vincolarsi in un’operazione complessa e onerosa? Quali sono e quanto costano i servizi non sanitari – es. preparazione e distribuzione dei pasti, pulizia aree interne ed esterne, gestione spazi commerciali, raccolta e smaltimento rifiuti ecc. – affidati ai privati in concessione rispetto alla gestione diretta? Ogni costo è gravato dall’iva – che risulta indetraibile per l’azienda sanitaria pubblica – e quindi maggiorato del 22%.

I servizi non sanitari diventano per il privato una gallina dalle uova d’oro per fare rientrare il privato dai costi sostenuti per la costruzione dell’ospedale. Di fatto l’ospedale viene gestito da un privato per un numero enorme di anni con costi di gestione per il socio pubblico che rischiano di essere insostenibili. I costi di gestione, in taluni casi, sono superiori rispetto alla vecchia gestione interna o rispetto al precedente sistema dell’appalto, a seconda dei contesti del 30, 40, 50%[2].

Le Regioni che hanno maggiormente ricorso allo strumento del project financing sono la Lombardia, il Veneto, la Toscana, la Calabria, la Puglia e il Trentino Alto Adige[3].

Si registrano anche diversi casi in cui attraverso “sperimentazioni gestionali” anche tutta la parte sanitaria viene demandata al concessionario privato[4].

Recentemente il Procuratore regionale della Corte dei conti del Veneto, nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario[5] ha avuto modo di affermare:

  1. lo strumento del project financing non è generalmente adatto per le opere c.d. “fredde” come gli ospedali;
  2. è una operazione a “debito” il cui importo va a incrementare il debito pubblico;
  3. nei contratti della sanità veneta il privato si è assunto solo il rischio di costruzione, “per il resto si tutela bene inserendo nel contratto clausole che di fatto annullano i rischi” concordando “penali molto contenute, in qualche caso insignificanti;
  4. in tal modo l’opera finisce di costare molto di più del previsto aggravando il debito dell’ente pubblico”;
  5. i maggiori costi di strutturazione (costi legali, tecnici e finanziari, costi assicurativi, commissioni varie) e la rigidità della struttura sono i “principali svantaggi”.

Il procuratore veneto ha notato che, solo dopo quanto evidenziato dalla magistratura contabile, la nuova dirigenza dell’Ulss – e come vedremo a breve anche la parte politica – “ha iniziato a riconsiderare una serie di condizioni contrattuali molto sfavorevoli che aveva assunto con la società di project financing”.

Dal punto di vista dei conti pubblici una vera e propria caporetto quindi.

In seguito alla relazione del procuratore il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, in seguito alla messa in discussione degli ospedali in project della sua regione ha affermato che condivide la valutazione negativa della corte dei conti in quanto il “project financing è diventato un global service e, quindi, è diventato incontrollabile: infatti si arriva a pagare un canone del 10-12%, quando dalla Bei si possono avere fondi al tasso dell’1.5%“. Sempre secondo Zaia quindi “è necessario un provvedimento in sede legislativa nazionale per superare queste condizioni di insostenibilità, riconoscendo in particolare ai presidenti di Regione la possibilità di transare con i privati”[6]. Una delle regioni che ha più e prima di altre costruito ospedali in project afferma che non solo non è stato un affare per le casse pubbliche ma che oramai è un sistema “incontrollabile”. Questo nel momento in cui altre regioni si apprestano a varare il project ha riconosciuto che le tariffe di erogazione sono esose per le casse pubbliche.

Nel caso della Toscana il concessionario privato sfrutterà (è proprio il caso di dirlo) i servizi non sanitari (manutenzione, pulizie, verde, trasporti, ristorazione, lavanderia, sterilizzazione, smaltimento rifiuti, ecc.) e commerciali (parcheggi, bar, negozi, edicola, ecc.) per diciannove anni. Gli investitori privati – Astaldi, Techint e Pizzarotti – avranno il monopolio di questi servizi con un investimento complessivo del 30% del totale. Aziende sanitarie e regione hanno messo il 70% e si trovano espropriate dalla gestione di importanti servizi per un tempo, oggi, da considerarsi più geologico che antropologico.

Curiosamente – forse non tanto – il legislatore invece di rivedere una normativa che appare tutta sbilanciata verso il concessionario privato a danno del committente pubblico aggiunge facilitazioni all’utilizzo dello strumento finanziario. Il recente decreto Balduzzi, infatti, concede la possibilità di attribuire al concessionario le vecchie strutture ospedaliere da dismettere, “ove l’utilizzazione comporti il mutamento di destinazione d’uso, da attuarsi secondo la disciplina regionale vigente”. Condominii e centri commerciali al posto dei vecchi ospedali per incentivare il privato alla partecipazione alle gare di project financing [7].

Più andiamo avanti nelle analisi e più ci rendiamo conto dell’abnormità della questione. In sintesi il socio pubblico mette i soldi, garantisce per il privato, diventa il suo unico e obbligato cliente, si affida obbligatoriamente a un monopolista che gli gestisce i servizi e paga onerosi canoni. Il tutto per essere alla fine del periodo di concessione pienamente proprietario dell’ospedale. Peccato che i periodi di concessione siano lunghissimi e che vanno dai venti ai trenta anni, periodo al termine del quale l’opera necessita di una forte ristrutturazione. Il valore aggiunto della costruzione di un ospedale o di più ospedali (come nel caso della Toscana) è l’ammodernamento delle strutture, la tecnologia d’avanguardia, la concezione dell’ospedale come luogo di cura concepito secondo i più recenti orientamenti. Il socio pubblico, la collettività quindi, verrà in totale possesso dell’opera solo quando la stessa diventa vetusta e necessitante di ulteriori gravosi investimenti. Nel frattempo l’opera presenta delle diseconomie rigide e difficilmente comprimibili.

Siamo in un contesto strano in cui l’ospedale nasce privatizzato pur avendo in genere un socio pubblico che talvolta è di maggioranza e nel corso del tempo – venti-trenta anni – si “pubblicizza” totalmente.

Non ci sono più alibi per costruire con questa tecnica finanziaria che sottrarrà risorse, per i decenni a venire, alla spesa pubblica per la salute.

Il risultato – quanto meno nelle esperienze di project che ci sono state – è evidente: bassa qualità costruttiva, alti costi di gestione, costante contenzioso con il concessionario, rigidità di gestione.

Il project financing viene efficacemente paragonato a una carta di credito revolving che “sposta i pagamenti verso le generazioni future”[8].

Potremo continuare ma ci sembra sufficiente.

Quale può essere il motivo che ha spinto la sanità pubblica – o più correttamente – parte di essa ad andare in questa direzione? Come spesso accade nella commistione pubblico/privato il primo ci rimette e il secondo ci guadagna a spese della collettività.

Il project financing si presenta come l’ennesimo tassello di privatizzazione del bene pubblico fondamentale per uno Stato civile come la sanità.

Luca Benci, Giurista, Firenze

 

Bibliografia

  1. Legge 18 novembre 1998, n. 415 “Modifiche alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici”
  2. Sui costi di gestione degli ospedali toscani in project (Prato, Pistoia, Lucca e Massa) vedi il volume di Daniele Rovai, “La nuova sanità toscana”, Edizioni Andromeda, p. 88
  3. Finlombarda, Osservatorio Finlombarda sul project finance in sanità, 2013, Maggioli, p. 13
  4. È il caso della Fondazione Fratelli Montecchi di Suzzara, San Pellegrino di Castiglione delle Stiviere, Azienda ospealiera Maggiore di Crema, dell’Azienda sanitaria locale di Potenza e dei due progetti dell’Azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova.
  5. Procura Regionale presso la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Veneto.Intervento del Procuratore Regionale Carmine Scarano per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014. [PDF: 185 Kb]
  6. Sanità: Zaia (Veneto), il project financing va governato. Libero Quotidiano, 24.02.2014
  7. D.L. 13-9-2012 n. 158 Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.
    Art. 6 Disposizioni in materia di edilizia sanitaria, di controlli e prevenzione incendi nelle strutture sanitarie, nonché di ospedali psichiatrici giudiziari
    In vigore dal 11 novembre 2012
    La procedura di affidamento dei lavori di ristrutturazione e di adeguamento a specifiche normative, nonché di costruzione di strutture ospedaliere, da realizzarsi mediante contratti di partenariato pubblico-privato di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, può altresì prevedere la cessione all’aggiudicatario, come componente del corrispettivo, di immobili ospitanti strutture ospedaliere da dismettere, ove l’utilizzazione comporti il mutamento di destinazione d’uso, da attuarsi secondo la disciplina regionale vigente. I lavori di ristrutturazione nonché di costruzione di strutture ospedaliere di cui al presente comma devono prevedere, previa analisi costi-benefici che ne accerti la convenienza, anche interventi di efficienza energetica ovvero l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, nonché interventi ecosostenibili quali quelli finalizzati al risparmio delle risorse idriche e al riutilizzo delle acque meteoriche.
  8. Vecchi V. Il peso degli ospedali. Altreconomia 12.06.2014

 

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