“Tenervi in vita costa sempre di più. Siete sicuri di potervelo permettere?” Su sanità e neoliberismo

Il quadro attuale

L’esistenza di un sistema sanitario pubblico e universalmente accessibile a prescindere dalla condizioni di ricchezza è stata forse la conquista più alta e avanzata del compromesso socialdemocratico realizzatosi in diversi paesi europei dopo la Seconda Guerra Mondiale. Esso dunque non poteva che essere il cuore dell’attacco che il neoliberismo ha portato avanti al fine di privatizzare e riconformare a parametri di mercato quelli spazi che decenni di lotte erano riuscite a sottrargli. Fare una storia dettagliata e aggiornata del processo (tutt’ora in corso e anzi in una fase di accelerazione) di privatizzazione e aziendalizzazione della sanità pubblica è un lavoro che spetta all’azione dei comitati e ai sindacati che si muovono nell’ambito della sanità (Un piccolo e ottimo dossier lo si può consultare in rete a questo link ). 

Quello che invece riteniamo opportuno fare come osservatori, come cittadini e attivisti che vogliono contribuire a fermare questa deriva e a riconquistare il terreno perduto, è quello di suggerire possibili terreni e direzioni su cui allargare il fronte delle lotte.

Senza sottovalutare l’importanza dei problemi legati alla carenza di organico, alle nuove infrastrutture (vedi ad esempio i quattro nuovi ospedali toscani costruiti in Project financing) e alla messa a regime di nuove normative, riteniamo che la questione delle risorse e la battaglia contro i tagli operati a causa del ricatto del debito o della necessità di “razionalizzare” e rendere “più efficiente” il settore dell’assistenza, mantengano una posizione centrale in tutti i percorsi di lotta sulla sanità.

In base ai dati dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, la spesa pubblica per la sanità in Italia nell’arco di tempo 2008-2014, dopo un aumento di 4 miliardi e mezzo nel biennio 2008-2010 risulta inchiodata a una cifra oscillante tra i 111 e i 112 miliardi di euro, pari a circa il 7 % del Pil. Poco male si potrebbe dire, mantenere questi livelli di spesa in un periodo di recessione come il nostro, tanto più necessari a fronte dell’invecchiamento della popolazione, è un lusso non da poco. Un lusso che per la precisione i cittadini italiani sono stati costretti a pagare, sia in forma indiretta, tramite i tagli di altri servizi e l’aumento delle tasse locali che le regioni sono state costrette a mettere in campo per sopperire al disavanzo tra il finanziamento statale e la spesa effettiva, sia tramite la pervasiva diffusione dei ticket sanitari (+26 %).

Il biennio 2015-2016 segna un’accelerazione di queste tendenze: con la nuova legge di stabilità varata dal governo Renzi è previsto un taglio di due miliardi di euro, oltre a 800 milioni che risultano vincolati all’adeguamento dei Sistemi sanitari regionali alle nuove direttive sui LEA. Il governo ha deciso di sganciare dai Livelli essenziali di assistenza (e dunque dalla copertura del finanziamento pubblico) 203 tipologie di esami e prestazioni sanitarie, di cui i medici “abuserebbero” a scopo cautelativo e di diagnosi precoce. D’ora in poi, se queste prestazioni (prevalentemente di odontoiatria, genetica, allergologia, radiologia diagnostica) verranno prescritte dai medici senza un’adeguata motivazione (magari quella stessa che è possibile rinvenire solo vedendone i risultati) che ne “giustifichi” la copertura pubblica, questi subiranno una decurtazione del salario accessorio.

Non sono ammessi sforamenti di bilancio. Il modello di sanità promosso dal governo Renzi si conferma all’insegna dell’aziendalizzazione e della privatizzazione dell’assistenza. La recente denuncia dell’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani circa la cattiva qualità dei bisturi in uso nelle sale operatorie (in poche parole: non tagliano bene; dovremmo dire addio alla famosa precisione chirurgica), con effetti negativi tanto dal punto di vista sanitario che estetico, dovrebbe dare la misura del livellamento verso il basso della qualità dell’assistenza pubblica che il taglio dei finanziamenti sta provocando.

Il crescente ricorso ai ticket sanitari, unito alla lunghezza delle liste d’attesa, ha indotto come era prevedibile un crescente numero di cittadini a rinunciare alle cure. Secondo il rapporto 2015 del Censis sarebbero in media il 9 % della popolazione, percentuale che sale al 13 % in alcune province. Ben più alto invece il numero di cittadini che percepisce un netto peggioramento nella qualità dell’assistenza avvenuto negli ultimi anni: il 42,7%, percentuale che sale al 64% al Sud. Viene allora da chiedersi con inquietudine in che misura questo quadro abbia contribuito al picco di mortalità (+45.000 nei primi otto mesi del 2015 rispetto all’anno precedente), che si è verificato l’anno scorso, riportando la bilancia demografica del paese ai tempi di guerra. Una guerra evidentemente portata avanti dal neoliberismo contro le fasce più deboli e vulnerabili della popolazione, i malati e gli anziani che versano in condizioni di povertà.

Vignetta sulla sanità

Questa fetta di disagio, anzi di vera e propria insicurezza sociale, rappresenta un terreno su cui costruire consenso per mobilitazioni volte a invertire l’attuale spinta alla dismissione e allo scadimento della sanità pubblica. Ma in che direzione? Desideriamo soffermarci brevemente su due elementi che ci sembrano imprescindibili nella battaglia (anche ideologica)  che si trova a dover condurre chi lotta contro l’aziendalizzazione e la privatizzazione dell’assistenza sanitaria.

Dall’assistenza sanitaria pubblica a quella aziendale: il caso degli ultimi contratti nazionali

Quando si parla di aziendalizzazione, ci si riferisce in genere alle tendenze volte a trasformare il sistema sanitario in una macchina per fare profitto, rendendo la salute dei cittadini una merce. C’è però anche un’altra accezione del termine con cui nei prossimi anni dovremo fare i conti. È evidente che il progressivo smantellamento del servizio sanitario pubblico e gratuito per tutti i cittadini crea un vuoto che non può essere colmato semplicemente dirottando i cittadini più abbienti verso la sanità privata. Si crea invece una domanda di assistenza sanitaria integrativa che punta a coprire le falle del servizio pubblico in disfacimento o paralizzato dalle liste d’attesa. Un’assistenza di cui dovrebbero farsi garanti le aziende. Se la cosiddetta contrattazione di secondo livello (i contratti azienda per azienda, integrativi dei contratti nazionali di categoria) ha spesso previsto forme di welfare, anche sanitario (finanziato dagli stessi lavoratori, si intende), in occasione della recente firma di alcuni contratti nazionali si è assistito a un netto rafforzamento di questa componente, ad esempio per quanto riguarda i metalmeccanici. Ciò ha delle importanti conseguenze, e non solo per il sistema sanitario:

1)La messa in opera di convenzioni fra aziende e istituti sanitari privati diminuisce la domanda di assistenza pubblica, giustificandone i tagli;

2)Il vincolare quote crescenti di assistenza sanitaria al posto di lavoro fa sì che quel posto si cerchi di mantenerlo a qualsiasi costo, rendendo tutti i lavoratori più ricattabili e disponibili a subire riduzione di diritti e taglio dei salari;

3)I disoccupati o tutti coloro che non  beneficiano di un welfare sanitario aziendale qualificato, a fronte dei tagli al servizio pubblico rischiano di ritrovarsi senza i mezzi per curarsi.

Pubblico e privato, una questione di lotta di classe

La polemica e l’attacco contro il settore pubblico e chi vi lavora, dalla piccola azienda municipalizzata fino alle ultime grandi imprese a partecipazione statale, è sempre stato uno degli strumenti con cui il neoliberismo ha creato un terreno di consenso verso la privatizzazione dei servizi. Nessuna di queste privatizzazioni ha portato reali benefici ai cittadini, eppure sono state salutate con grandi auspici. Il “pubblico non funziona”, “ci costa troppo”, “è inefficiente”, “dobbiamo ripianare i debiti”. Queste sono le parole d’ordine che oggi è necessario demistificare e ribaltare.

 Per quanto riguarda i costi infatti basta guardarsi qualsiasi rapporto dell’Ocse degli ultimi anni per vedere che la spesa della sanità sul Pil è ben al di sotto della media europea. Perché allora tanto clamore sull’insostenibilità dei nostri sistemi sanitari? Certamente i diktat della Troika, che hanno trasformato l’ideologia del debito in linea di governo fino a inserire il pareggio di bilancio in costituzione fungono da leva per ogni forma di taglio e privatizzazione del welfare, sanità compresa, sotto il ricatto dell’enorme debito pubblico accumulato dai nostri governanti.

C’è però forse un altro elemento che ci pare rilevante, e che non risulta al centro del dibattito come dovrebbe. Può sembrare persino banale, ma nell’epoca del pensiero unico anche dichiarare l’ovvio può fare scandalo. Quello che vorremmo far notare è che anche sulla sanità si gioca una partita che ha a che fare con la lotta di classe. Data la progressività della tassazione, una quota non piccola del SSN è a carico di quel 10 % del paese che detiene il 50 % della ricchezza complessiva. Questo 10 %, pur contribuendo a finanziare la sanità pubblica, preferisce in genere non usufruirne, potendosi permettere il ricorso alla più rapida sanità privata. Naturale perciò che questa fetta di popolazione veda come una palla al piede il finanziamento di una sanità gratuita per i cittadini meno abbienti e che veda con favore i processi di privatizzazione, sia in termini di alleggerimento del carico fiscale che in termini di maggiori opportunità di profitto da realizzare con il potenziamento della sanità privata.

Qualche indicazione di rotta

Questi ultimi due punti ci paiono delle bussole da tenere presenti per capire dove cercare alleanze e consenso utili a rafforzare le lotte che si muovono nell’ambito della sanità Da un lato è oggi più che mai necessario rovesciare il ricatto del debito e l’ideologia del pareggio di bilancio che ci vengono imposti come dogmi intoccabili per dire apertamente che un servizio sanitario pubblico, gratuito e di qualità è un bene che serve in primo luogo alla parte più povera del paese, alle classi medio-basse, un bene da difendere e in una certa misura ormai da riconquistare. Dall’altro (e questo riguarda soprattutto il sindacato), arginare l’aumento dell’incidenza della sanità integrativa nell’ambito della contrattazione è uno dei passi fondamentali per contrastare una deriva potenzialmente deflagrante per il Servizio sanitario nazionale pubblico, e costituisce un’opportunità da sfruttare per consapevolizzare i lavoratori e renderli partecipi delle lotte sulla sanità.

Stringere alleanze tra utenti e lavoratori della sanità pubblica come soggetti ugualmente danneggiati dai tagli e dalle politiche di aziendalizzazione, gli uni nella qualità dei servizi e dell’assistenza, gli altri nelle peggiori condizioni di lavoro, resta l’unica strada per far crescere la massa critica delle mobilitazioni su questo fronte, a Lucca come nel resto d’Italia.

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