Referendum Costituzionale. Incontro partecipato del CDC per il No, mentre il Comune di Lucca si schiera con il Sì renziano.

Al netto delle considerazioni già espresse dalla nostra redazione su quanto messo in campo nella corsa al Referendum del prossimo Ottobre, riportiamo un resoconto del recente incontro del comitato per il No al referendum.

In tante e tanti questo Sabato, 4 Giugno, all’incontro svoltosi nella sala Mario Tobino di Palazzo Ducale a Lucca. Più di centocinquanta persone hanno affollato la sala di Cortile Carrara per l’iniziativa promossa dal Comitato Democrazia Costituzionale di Lucca, impegnato sul fronte del No al Referendum costituzionale del prossimo Ottobre. Relatori della giornata i docenti universitari Luca Baccelli e Paolo Bianchi dell’Università di Camerino e Nadia Urbinati, titolare della cattedra di Scienze Politiche della Columbia University di New York, Presidente di Libertà e Giustizia.

Nel suo intervento Nadia Urbinati ha cercato di sottolineare come nel periodo che stiamo vivendo si stia avviando un mutamento profondo nella democrazia e di come i canali mediatici non stiano realmente spiegando che cosa la riforma tenti di modificare.

Alcuni degli argomenti che vengono infatti sbandierati dal fronte del SI, spiega la Urbinati, è che quella che andiamo a modificare è una Costituzione vecchia che non è mai stata aggiornata e che i tentativi di salvaguardia siano caratteristica principale di una sorta di conservatorismo, legato ai privilegi della vecchia politica (costi della politica, inutilità del Senato, etc…) e all’ingovernabilità del Paese. Ma la Democrazia Costituzionale, per sua stessa natura, tende a “sdrammatizzare” l’esistenza stessa del Governo o delle difficoltà che deriverebbero da una sua caduta.”

Il governo, infatti – continua la Professoressa – dovrebbe avere, in una Democrazia Costituzionale, un ruolo squisitamente amministrativo. Non è quindi necessario “conservare” la Costituzione, che può essere modificata, ma ogni modifica razionale dovrebbe essere effettuata soltanto in maniera progressista. La replica stessa di una seconda camera (Senato) dopo il voto su una legge dato dalla Camera dei Deputati, salvaguarda la giustezza di una norma. Pensare una legge due volte è garanzia democratica.”

Altra bandiera renziana è quella del risparmio di cui godrebbe il Paese con il nuovo Senato (il Senato non verrebbe infatti abolito, ma reso non elettivo e ridotto relativamente nei numeri) “mentre – spiega Nadia Urbinati – la gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla gestione degli immobili, dai servizi, dal personale. Mentre un eventuale Senato non elettivo avrebbe comunque un costo per la trasferta e la permanenza a Roma, nonché per l’esercizio delle funzioni (segreteria, assistente parlamentare, etc). Risparmi con certezza maggiori si avrebbero – anche mantenendo il carattere elettivo – riducendo la Camera a 400 deputati, e il Senato a 200. Avremmo in totale 600 parlamentari, invece dei 730 che la legge Renzi-Boschi ci consegna.” (fonte “Libertà e Giustizia”)

Una Costituzione migliore, una Costituzione modificata in senso progressista, tenderebbe a contenere lo strapotere della maggioranza parlamentare, favorirebbe il potere parlamentare, che è quello fornito dalla rappresentanza democratica dei cittadini, limiterebbe il potere dell’esecutivo. Una Costituzione progressista dovrebbe aprire maggiormente alla discussione di associazioni e movimenti, primaria rappresentanza della cittadinanza, da cui dovrebbero dipendere i poteri. Con queste riforme, invece, ciò che viene spostato è il baricentro dal parlamento al governo, quindi dal popolo rappresentato a chi lo amministra.”

Senza dimenticare che nel “pacchetto” delle riforme viene venduta anche la nuova legge elettorale (Italicum), grazie alla quale la maggioranza non potrà essere limitata nemmeno dalla propria opposizione parlamentare, in una struttura piramidale secondo la quale anche la stessa maggioranza sarebbe completamente asservita alla volontà del governo.

Secondo i principi emanati dai padri costituenti nel 1947/48, la voce dei cittadini non dovrebbe sparire dopo il voto, ma avere un’eco proporzionale all’interno delle istituzioni attraverso le stesse aggregazioni dei cittadini, per mezzo dei partiti che non sono altro che aggregazioni dal basso.

Lo scorso Settembre 2015 il Premier non eletto Matteo Renzi andava affermando “Aspettiamo la riforma della Costituzione da 70 anni”. Molto si è ironizzato sul terribile errore storico (nel 1945 l’Assemblea Costituente non era nemmeno stata eletta), ma ciò che è vero è che le argomentazioni contro i partiti politici riportate adesso dal Partito Democratico per sostenere le riforme costituzionali furono discusse nel 1946/47 all’interno della Consulta per la Costituzione dal monarchico Roberto Lucifero d’Aprigliano il quale sosteneva che la presenza di molti partiti in parlamento sarebbe stata un vero problema per il potere.

Le posizioni di Lucifero vennero spazzate via dalla maggioranza costituente che vedeva nella “Democrazia della Piena rappresentazione proporzionale” un antidoto al ritorno del fascismo.

Ma ciò che realmente è accaduto è che sin dalla sua entrata in vigore la rappresentabilità dei cittadini nelle istituzioni garantita dalla Costituzione è stata messa sotto attacco, lavorata ai fianchi con un lavoro certosino da pugilato, fino a diventare un attacco frontale, a favore di un unico partito monocolore che possa assicurare uno Stato senza rappresentanza popolare. Uno stato Mono-archico (ispirato alla monarchia repubblicana della Francia Gaullista) quindi, conservatore e antiprogressista, in cui la politica è funzionale agli interessi del governo, e questo agli interessi di elementi estranei alla popolazione.

Ma quello a cui stiamo assistendo – spiega Nadia Urbinati – non è altro che uno dei passaggi di un processo internazionale iniziato negli anni settanta. Era il 1973, infatti, quando nacque il Comitato Trilaterale, formato da Stati Uniti, Unione Europea e Giappone, fra i cui intellettuali di riferimento troviamo Samuel Huntignton, politologo americano che teorizzava la necessità di una crisi della Democrazia, perché le costituzioni assembleari come la nostra, garantendo il contatto fra popolo e parlamento rischiano di condizionare il lavoro del secondo, troppo portato ad ascoltare le istanze dei cittadini, non funzionali al governo.”

La Democrazia in cui prevale il potere esecutivo, quella teorizzata dalla trilaterale, è quindi una democrazia apatica e repressiva, in cui società e istituzioni non conversano, in cui la società civile risolve le proprie problematiche attraverso la strada capitalista delle privatizzazioni dei servizi.

Una delle mitologie portate avanti dal fronte del Si è quella secondo la quale la riforma elettorale e quella del Senato siano state ispirate dalle migliori menti del progressismo di stampo comunista (si citano infatti spesso Ingrao, Berlinguer o i dibattiti del PCI in fase costituente) omettendo che il PCI richiedeva una sola camera eletta con sistema puramente proporzionale senza soglie di sbarramento, perchè la Democrazia è garanzia delle minoranze e non potere delle maggioranze.

Quello a cui stiamo assistendo è l’indebolimento della forma partito, la nascita del partito liquido. Fin dal 1983 si sono tentate riforme costituzionali, ma finchè i partiti di massa erano organismi forti, le riforme venivano pensate ma non attuate. Adesso che (da Tangentopoli in poi) i partiti si sono indeboliti, hanno perso il loro senso, hanno cominciato ad intravedere nella Seconda Repubblica la propria strada di sopravvivenza. Il partito liquido ha bisogno di una costituzione indebolita per uscire dalla crisi della politica.

Ma se il fronte del dibattito spesso è ridotto nel dualismo “Le riforme sono utili perchè la società si riprenderà dopo aver fatto le riforme che attende” contro “Riforme costituzionali sì, ma solo verso una rappresentatività democratica”, la domanda che dovremmo porci è “Perchè la riforma è conveniente?”. “Ogni risposta che cerchi di avvalorarne la convenienza è irrazionale”, spiega Nadia Urbinati, e ogni risposta irrazionale, ci viene da pensare, tace una verità nascosta.

Continua la docente parlando di risparmio: “Sì, il problema della corruzione politica è reale, ma il risparmio è ben altro. Se c’è uno spreco si elimina lo spreco, con la riforma del Senato elettivo non sparisce il milione di persone che gravitano nell’entourage del parlamento. Togliere parlamentari non toglie sprechi, ma toglie la possibilità alla cittadinanza di essere rappresentata. Il denaro speso per il diritto alla cittadinanza e la rappresentatività partecipativa di questa non è mai uno spreco.”

Il dibattito continua con l’intervento di Paolo Bianchi, che carta alla mano dimostra come la nostra democrazia dia già largo spazio alla “governabillità”, attraverso gli strumenti del decreto legge (inesistente nelle democrazie anglosassoni), della legge delega (che gli USA non prevedono perchè il solo organismo che può legiferare è il parlamento) e ricorrendo alla fiducia (che non è in Costituzione ma è stata introdotta nel regolamento parlamentare. “Secondo il servizio studi della Camera dei Deputati del 15 Marzo di questo anno – Spiega Bianchi – che riporta i dati a partire dall’inizio di questa legislatura, il 15 Marzo del 2013, il totale degli atti emanati dal Parlamento ammonta a 420 (11,67 atti mensili). Di questi solo 200 sono leggi (5,55 al mese), ed il resto sono atti emessi dal Governo. Quindi la non governabilità quale sarebbe? Non c’è forse un eccesso di potere legislativo, invece nelle mani di un organo che dovrebbe essere esclusivamente esecutivo?

Il dato di fatto è – continua il Prof. Paolo Bianchi – che l’inserimento della sussidiarietà e il pareggio di bilancio in costituzione hanno già minato i diritti fondamentali dell’universalità garantiti ai cittadini dalla Carta Costituzionale”.

La giornata prosegue con numerosi interventi e viva partecipazione da parte dei presenti. Unica nota stonata, a nostro parere, la quantomeno inopportuna presenza di personaggi legati alla maggioranza nell’amministrazione comunale cittadina, la stessa maggioranza che il 24 Maggio bocciava l’Ordine del Giorno in Consiglio Comunale portato avanti dalla consigliera di opposizione Roberta Bianchi del Partito della Rifondazione Comunista – FdS, che chiedeva all’amministrazione di prendere posizione contro una riforma che ricalca (secondo le parole utilizzate dalla consigliera Beatrice Piantini durante il suo intervento) i piani eversivi della P2 di Licio Gelli. Bocciatura avvenuta con 12 voti contrari (quelli dei consiglieri PD in aula, Andrea Pini – ex M5S adesso gruppo misto, Luca Leone e Pietro Fazzi), l’astensione della lista di maggioranza Lucca Civica, l’assenza volontaria dall’aula delle consigliere Leone e Picchi, avvalorando invece con il voto a favore, la mozione della renziana Valentina Mercanti, schierata con il Sì al referendum.

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