Sul Festival della crescita. Di chi? Di che cosa?

Molti lucchesi probabilmente si saranno chiesto cos’è questo fantomatico Festival della crescita, che sarebbe passato pressoché inosservato se a riportarvi l’attenzione non fosse stata l’annunciata visita del premier Renzi in città domani, e la contemporanea contestazione promossa dai collettivi cittadini. Ce lo siamo chiesti anche noi e abbiamo provato a fare qualche indagine.

Le prime informazioni le possiamo ottenere direttamente dal sito del festival, dove il visitatore è subito accolto dallo slogan, di spirito assai renziano, “Un Festival per ripartire dal futuro, insieme”. Più sotto troviamo una descrizione abbastanza generica e fumosa sui propositi di questa iniziativa, all’insegna della conciliazione e della pace sociale, con l’idea che di crescita “buona” e possibile ce ne sia solo una, ostacolata dalle forze “retrograde” e dalla mancanza di concertazione fra le diverse parti sociali. Gli ottimisti contro i gufi, l’innovazione contro la conservazione, l’Italia del fare contro l’Italia del No, questa sembrerebbe essere la visione sottostante al festival. Intuizione del resto confermata dalla lettura dei 3 obiettivi principali del festival, che fanno tutti perno sulla centralità delle imprese e dello spirito imprenditoriale.

In questa dichiarazione di intenti possiamo leggere una serie di parole tanto usate e abusate da essere diventate dei gusci vuoti, dei luoghi comuni: “crescita”, “eccellenza”, “saper fare quotidiano”, “social innovation”, “creatività”, “produttività”. La vaghezza di queste espressioni è confermata dal fatto che non viene addotto alcun esempio concreto a cui fare riferimento per trovare un’incarnazione di questi principi.

Manca cioè una vera e solida riflessione (condivisibile o meno, questo è un altro discorso) su cosa sia la crescita oggi, sui cambiamenti radicali delle forze produttive avvenute negli ultimi 40 anni, sull’intreccio sempre più stretto tra grandi imprese, banche e mercati finanziari, sul conflitto tra un capitalismo internazionale e uno ancora legato ai territori e ad economie di scala. E potremmo continuare a lungo.

L’assenza di queste problematiche e della possibilità di visioni divergenti in tema di crescita (quelle che abbiamo citato, peraltro, sono visioni tutte interne al campo capitalistico) la dice lunga sull’inconsistenza di questo festival, sull’appiattimento all’ideologia semplicistica della crescita e del fare, a cui il nostro premier ci ha da tempo abituato con le sue dichiarazioni e le sue promesse, puntualmente smentite dai fatti.

Vediamo adesso chi sono gli organizzatori e gli sponsor del festival. L’evento è promosso da Future Concept Lab, un organismo di ricerca internazionale che offre servizi e consulenze ad aziende e singoli imprenditori in tutto il mondo. Tra i clienti dell’istituto si annoverano anche molte multinazionali, dall’automobile alla telefonia, dal petrolio al tessile, dalla cosmetica ai grandi magazzini, fino ai trasporti e alle banche (qui è possibile trovare l’elenco completo).

Tra le aziende che hanno goduto della consulenza dell’istituto vi sono anche, solo per citare un paio di nomi, Vokswagen (ci ricordiamo tutti il recente scandalo delle emissioni truccate) e McDonald (sicuramente il miglior esempio di alimentazione sana e legata al territorio). Senza dubbio due campioni della “crescita sostenibile” tanto decantata dal festival. Cattivi maestri o pessimi allievi? Quello che è certo è l’interconnessione tra questo istituto e il gotha del capitale globale.

Non da meno sono gli sponsor, tra cui spicca il colosso bancario Intesa San Paolo, il cui dirigente Umberto Alunni fa da ambasciatore al festival, insieme a molti imprenditori, giornalisti e professori universitari: il target di questo evento pare insomma essere in primo luogo le grandi imprese e la classe politica che deve imparare a provvedere alle loro esigenze.

E il territorio di Lucca, cosa c’entra con tutto questo? Il festival, la cui prima sessione si è tenuta a Milano nell’ottobre scorso, è itinerante, e toccherà quest’anno diverse città italiane, tra cui appunto Lucca. Fiore all’occhiello del nostro territorio e protagonista del festival sarà la multinazionale della carta Sofidel, detentrice del marchio Regina e che sarà oggetto della visita del premier dopo la sua conferenza nel complesso di San Francesco.

La multinazionale, tra le altre cose, ha subito provveduto ad approfittare di una delle “innovazioni” prodotte dalla Buona Scuola renziana: l’alternanza scuola-lavoro. Saranno infatti 150 i giovani di otto classi scolastiche che saranno introdotti fin da subito allo spirito d’azienda (anzi, sarà quest’ultimo a venire in classe a fare lezioni) e un domani perché no, portati direttamente in fabbrica a lavorare gratis. Perché questo è quanto prevede l’alternanza scuola-lavoro: la creazione di un nuovo esercito industriale di riserva obbligato per legge a prestare la propria manodopera gratuita, mettendo così a rischio gli attuali livelli occupazionali.

In tutto ciò emerge l’autoreferenzialità di un evento condito di frasi fatte, di slogan triti e ritriti, che si stagliano sulle macerie di un paese in cui grazie al Jobs Act la disoccupazione reale non è affatto scesa, in cui i lavoratori sono stati espropriati delle tutele dell’articolo 18, in cui non esistono politiche di sostegno al reddito delle fasce più deboli della popolazione. La verità è che non si può davvero pensare di far ripartire una solida crescita semplicemente con l’innovazione tecnologica se nel frattempo si tagliano e si comprimono i salari, se non ci sono investimenti in opere pubbliche di reale interesse collettivo, se non si crea un’occupazione stabile e sicura (non quella fintamente a tempo indeterminato, drogata dai mega incentivi del governo – fino a 8000 euro l’anno a lavoratore – e appesa alla  loro scadenza), se non si sostiene il mercato interno. Non c’è crescita possibile, se non ci si libera dal ricatto del debito, dai dogmi del pareggio di bilancio, dai patti di stabilità imposti dai trattati europei.

In conclusione dobbiamo allora porci la domanda più semplice: crescita PER CHI? Se si va a vedere la distribuzione della ricchezza in Italia e nel mondo, vediamo che il dislivello tra coloro che stanno in cima alla piramide e coloro che stanno alla base si è enormemente accentuato negli ultimi 30 anni, ed ha continuato a crescere anche negli anni della crisi. Alla faccia di chi dice che siamo tutti sulla stessa barca, che ci vuole unità, responsabilità e concertazione.

Le principali riforme renziane, dal Jobs Act, alla Buona Scuola allo Sblocca Italia sembrano rispondere a un obiettivo comune: rendere l’Italia un paese accogliente per gli investimenti esteri, visti come il miglior modo per far ripartire la crescita. Ma oggi, la poca crescita che si può cavare in un contesto di recessione-stagnazione, è quella che si attua aumentando i carichi di lavoro e comprimendo gli stipendi, detassando gli straordinari invece di assumere più persone, rendendo più facile lo sfruttamento del territorio e la sua cementificazione con opere pubbliche destinate ad eventi lampo come Expo o un domani le possibili Olimpiadi di Roma 2024. Di quale crescita stiamo parlando allora? Di quella dei nostri diritti, del nostro tenore di vita, della possibilità di costruire un futuro libero e autonomo per poter soddisfare i nostri bisogni e desideri? O invece stiamo parlando della crescita dell’impoverimento, dello sfruttamento, dei fatturati dei manager e del capitale internazionale?

Noi la risposta a questa domanda la conosciamo da tempo, per questo oggi saremo in piazza a contestare l’autorappresentazione di un potere ormai privo di consenso, delegittimato dalle urne e dalle piazze, quel potere che ormai non ha più promesse credibili da spendere per far digerire alla popolazione le sue politiche e silenziare la sofferenza e la rabbia che queste hanno prodotto.

Lascia un commento

commenti

One thought on “Sul Festival della crescita. Di chi? Di che cosa?

Comments are closed.

Shares