Sul nuovo Auditorium all’aperto lucchese ovvero l’ennesima centralizzazione dell’attività culturale

“Il progresso culturale deve rappresentare un reale sviluppo della sensibilità e delle capacità tecniche dell’uomo o deve essere soprattutto un divertimento per le élites ed un’arma per lo sfruttamento di classe? Deve una maggioranza essere resa ‘non musicale’ affinché una minoranza possa essere ‘musicale’?” (J. Blacking, Com’è musicale l’uomo?)

Dopo l’articolo dedicato al Summer Festival di due settimane fa torniamo ad occuparci  di politica culturale della città di Lucca, provando ancora una volta a porre alcuni interrogativi su alcuni temi caldi del momento. In particolare questa volta ci vogliamo occupare della proposta presentata dal vignettista Alessandro Sesti per la costruzione di un nuovo auditorium all’aperto adiacente ai locali della ex cavallerizza, proprio sotto alla casermetta San Donato.    

Partiamo dai numeri della struttura comunicati dal suo ideatore: si parla di 7 mila posti, circa 3 volte la capienza della più efficiente (attualmente) sala da concerto d’Italia, la sala Santa Cecilia dell’auditorium Parco della Musica (2800 posti), più di 3 volte e mezzo quella del teatro Alla Scala (1800 posti). Se invece andiamo ai grandi teatri all’aperto, vediamo che il vicino Gran Teatro Puccini conta “appena” 3100 posti, poco più di quelli a disposizione allo sferisterio di Macerata. Forse solamente l’imponente Arena di Verona riuscirebbe a battere, con i suoi 12000 posti, il nuovo grande teatro lucchese. Il teatro open air che forse va più vicino ai numeri proposti da Sesti è un altro teatro toscano, il famoso Teatro del Silenzio di Lajatico (8000 posti), voluto dal “tenore” Andrea Bocelli: è bene tenere a mente questo dato per le considerazioni che faremo a breve.   

I primi dubbi, e non sono forse i più grossi, riguardano le previsioni economiche per l’opera. A detta del proponente: “E i costi? “Io ho fatto una proposta – spiega Sesti – ma non spetta a me quantificarli. Posso dire che un noto impresario mi ha parlato di un progetto triennale da 2 milioni di euro complessivi. Le sedie, o le gradinate, a seconda delle esigenze, sono rimovibili. Poi ci sono delle opere di contorno, come quelle che riguardano la canalizzazione e i pozzetti per la luce”. Le dichiarazioni ci paiono quanto meno reticenti. Per prima cosa a chi sta la quantificazione dei costi, se non al proponente dell’opera? Forse che Sesti fa la sua proposta per poi lasciare però tutte le spese al comune? O magari si ha già in mente qualche “noto impresario” al quale affidare la realizzazione dell’opera tramite l’ormai ben nota soluzione della “finanza di progetto”, conosciuta dai cittadini in quanto adottata per la costruzione di quei monumenti all’inefficienza che sono i 4 nuovi ospedali toscani?  

Andando oltre e concentrandoci sui costi stimati: stiamo parlando di 2 milioni di euro esattamente per cosa? Per il palco e i camerini? E le sedie e gradinate rimovibili? Fanno parte del conto o dobbiamo forse aggiungere, ogni anno che il teatro verrà ricostruito (la struttura lavorerebbe da giugno ad ottobre), i costi di affitto e messa in posa? O forse i 2 milioni di euro sono per la canalizzazione e i pozzetti per le luci che però il vignettista sembra lasciar fuori dalle sue dichiarazioni?            

Insomma, la sensazione generale è che o il preventivo proposto sia estremamente (volutamente) basso, perché non prende in considerazione molte voci, o estremamente alto, perché si riferisce a poco più un palco e ai punti luce: lasciamo pertanto il quesito aperto, sperando che prima o poi qualcuno faccia chiarezza (sarebbe ovviamente meglio prima, e non poi, visto che non vorremmo trovarci anche a Lucca, come spesso accade nel resto d’Italia, a scoprire le illegittimità che stanno dietro alle lievitazione dei costi di realizzazione delle varie grandi opere).

Se l’impatto economico è certamente quello che fa storcere il naso al cittadino in maniera immediata, è obiettivo di questa testata portare la riflessione almeno su un altro punto, ovvero quello del modello culturale e di sviluppo che proposte come questa sottintendono. Come messo in evidenza nell’articolo sul Summer Festival, ci pare evidente che il cittadino lucchese ha poco a nulla da guadagnare dalla realizzazione di un nuovo grande polo artistico: qualcuno sarebbe forse stupito se il nuovo teatro lucchese avesse prezzi simili a quello che abbiamo indicato sopra come il suo “fratello”, il teatro di Lajatico, in cui il biglietto più economico parte dagli 86,25€ della poltrona non numerata per arrivare ai 402 (!) dei posti executive?

La risposta più comune alle critiche sull’accessibilità da parte dei lucchesi è che comunque questi eventi “portano turisti” e “fanno girare l’economia”. Non mettiamo certo in dubbio tutto questo, ma il punto in una scelta di politica culturale è un altro, e non riguarda tanto i soldi che entrano in cassa, ma la possibilità che tutti possano godere della cultura per il suo valore intrinseco… Una proposta come quella di un grande teatro all’aperto segue la logica della centralizzazione che sta dietro ai vari grandi eventi e alle varie grandi opere, un modello che sottrae spazi e risorse a tutto ciò che non può o non vuole competere con le logiche malate del “sempre più grande”.

Il modello straordinariamente funzionante dell’auditorium Santa Cecilia di Roma, per esempio, rende si le casse della fondazione piene, ma attraverso la sottoscrizione di esclusive da parte di molti degli artisti che lì si esibiscono taglia fuori dalla possibilità di ascoltare grandi musicisti milioni di persone dal resto d’Italia, oltre a chi proprio non può permettersi di spendere certe cifre per un biglietto.  Tutto questo diventa ancora più inaccettabile in una città come Lucca dove provvedimenti come quelli “anti movida” (ne avevamo già parlato in questo articolo) e la scarsissima quantità di luoghi sfruttabili da parte degli artisti locali rendono la città sempre più una vetrina a uso e consumo dei turisti.   

Non dovremmo più accettare la banalità secondo la quale “con la cultura si mangia”, perché quello che i paladini di questa visione intendono non è che cultura e arte siano strumenti per la crescita di cittadini consapevoli, informati e sensibili, ma piuttosto che i grandi eventi e le grandi strutture possono far cadere dall’alto qualche briciola che può essere raccolta dalla massa degli impoveriti che quando va bene racimolano qualche spicciolo sfuggito, ma che il più delle volte guadagnano non più della piacevole sensazione di vedere il nome della propria città scritto accanto a grandi nomi della musica.

Quello che dobbiamo proporre e pretendere con forza è dunque un completo cambio di paradigma, che non favorisca solamente i soliti pochi lasciando sotto di sé il deserto, ma che metta in moto energie nuove e imprevedibili, in grado di rendere la città veramente viva e attiva.

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