Verso i 40 anni dall’occupazione di Villa Bottini. Intervista a “Il tram dalle mille finestre”

Da qualche mese è nata a Lucca una nuova associazione, “Il tram dalle mille finestre”. Come possiamo ricavare dalla loro pagina facebook, così si descrivono:

“Il 12 febbraio 2017 ricorrono 40 anni dall’apertura della Villa Bottini e dalla sua acquisizione da parte della nostra comunità. Un gruppo di persone che ha vissuto nel 1977 tutta la vicenda della Villa ha costituito l’Associazione “Il tram dalle mille finestre” e ritiene sia necessario ripercorrere, con la memoria e le testimonianze documentali e fotografiche, quel periodo che, non soltanto per Lucca, è stato decisamente significativo. Non si tratta di una voglia di auto-celebrazione ma di una occasione per tentare un’analisi dei fatti di quegli anni correlandoli a quanto testimoniato da generazioni successive di giovani in cerca di spazi di aggregazione.”

Abbiamo deciso di intervistare un membro del gruppo per capire come diverse generazioni nel corso dell’ultimo mezzo secolo si sono confrontate e scontrate con la mancanza strutturale di spazi autogestiti a Lucca.

Tra pochi mesi ricorreranno i 40 anni dall’occupazione di Villa Bottini. Una pagina di storia dimenticata e perlopiù completamente ignota alle generazioni più giovani. Che cosa accadde quel 12 febbraio del 1977 e nei mesi successivi?

Villa Bottini era un edificio abbandonato, il parco ridotto a una foresta incolta. Il Movimento lucchese dopo innumerevoli riunioni e discussioni, decise di occuparlo il 12 febbraio 1977.

Fu un’esperienza indimenticabile per me che avevo partecipato a tutta la fase preparatoria e all’entrata in centinaia dentro la Villa . Da quel momento la Villa prese dentro di se tutta la nostra energia e la trasformò in un magma di progetti, laboratori, spettacoli, discussioni, liti, amori e molto altro, fino a traboccare dentro la città.

E’ stato un pezzo importante della storia “altra” della città, una storia quasi dimenticata o sottaciuta, ma di una forza unica, che ci insegnò molto. Nel bene e nel male.

Gli anni di cui parliamo erano anni di grande mobilitazione e fermento politico, sociale e culturale, oggi ingiustamente criminalizzati ed esecrati sotto l’etichetta di “Anni di piombo”. Che cosa si muoveva a Lucca in quelli anni, nelle scuole, nel mondo del lavoro, nei quartieri? Quali collettivi esistevano allora? Quali erano le principali battaglie che venivano portate avanti? Pensiamo sia interessante toccare questo punto per dare un’idea del contesto in cui nacque l’esperienza di autogestione della Villa.

Gli anni ‘70 sono stati da tutti criminalizzati e si ricordano quasi unicamente per gli episodi di violenza politica senza dire mai che contro i Movimenti attivi in quel decennio fu messa in atto una repressione durissima senza esclusione di colpi. Una intera generazione fu criminalizzata e umiliata con tutte le armi possibili. Le bombe, le stragi di Stato, i tentativi di golpe fascisti, gli autoblindo a Bologna, l’eroina, le squadracce nere pagate dai servizi segreti, sono state alcune di queste armi.

Non si dice mai invece che questo decennio è stato irripetibile per la gioia che c’era fra i compagni. Una sensazione costante che tutto sarebbe potuto cambiare il giorno dopo, che la Rivoluzione era possibile, che tutto l’universo era nostro ed era lì ad un passo. Noi nelle piazze dove vivevamo sempre le nostre giornate la sentivamo questa imminenza di cambiamento, ma già la vivevamo fra noi, nei nostri rapporti personali, nel modo di stare insieme, nell’amore e nella lotta. Per questo quando lo Stato ha vinto, moltissimi di noi hanno fatto scelte anche estreme o autolesioniste. La realtà delle cose era mutata così improvvisamente che non ce l’hanno fatta ad accettare il crollare improvviso di tutte le nostre utopie.

A Lucca c’era molto fermento, c’erano le organizzazioni politiche dette “extraparlamentari”, tipo Stella Rossa, Lotta Continua, Avanguardia Operaia, MLS, gli Anarchici, i Radicali e sicuramente qualche altro gruppo che ora non ricordo. Poi c’era il Movimento Studentesco che guidò i primi scioperi a scuola con uscita degli studenti in corteo. Ricordo che io andavo a scuola al tecnico Carrara, che era il peggior istituto, dal punto di vista politico, della città. Il preside era un fascio e chiuse a chiave tutte le porte della scuola durante una giornata di mobilitazione. Dovemmo spaccare i vetri della palestra sotterranea per uscire e partecipare al corteo.

I temi delle lotte erano le contestazioni alle riforme scolastiche, la riduzione dell’orario di lavoro nelle fabbriche, gli aumenti salariali e le conquiste sociali come la parità di salario fra i sessi, la maternità, la lotta ai licenziamenti. Oltre queste lotte c’era l’antifascismo militante in una città che aveva una presenza attiva di fasci molto numerosa e che era il crocevia delle “trame nere” (vedi Tuti e covo di via dei Fossi ). Vi ricorda qualcosa?

L’occupazione durò alcuni mesi. Come reagì la città a questa esperienza? E in che modo terminò?

Dentro la Villa ci siamo stati fino a giugno. Fuori si scatenò il teatro degli orrori dei partiti politici ufficiali e della stampa borghese. Tutti erano contro di noi, basta andare a ricercare i titoli delle cronache di quei tempi per vedere. Eppure un numero grande di cittadini venne a trovarci anche solo per curiosità e parlandone adesso tutti i ricordi sono positivi.

L’occupazione terminò per sfinimento. Voglio essere chiaro: la Villa fu finalmente acquistata dalla Regione Toscana che l’avrebbe girata al Comune di Lucca perché fosse riaperta alla città, e questo era il nostro fine politico; però poi c’era anche il fatto che in villa le attività si erano fermate, non c’era più energia e gli scazzi avevano preso il sopravvento. Già i gay e le femministe avevano da tempo abbandonato l’occupazione, l’estate si avvicinava e molti avevano voglia di fare altre esperienze. La Villa si spopolò fino a che facemmo uscire il comunicato dell’abbandono dell’occupazione.

A distanza di tanti anni, che giudizio date di quell’esperienza? Quali ne furono i successi e i punti di forza e quali invece i limiti?

Il giudizio che do di quell’esperienza non può essere che soggettivo, parziale e partigiano. Fu un periodo per me formativo, io disertavo il lavoro per stare in Villa lì ho fatto innumerevoli esperienze, da lì ci siamo mossi per le grandi manifestazioni di Roma, da lì siamo andati a Bologna a marzo e ritornati per il grande appuntamento di luglio.

Non posso parlarne male anche se gli errori furono giganteschi e reiterati, ma venivano da un luogo che noi avevamo liberato e in quegli anni ancora non si parlava di centri sociali, erano errori nostri che poi abbiamo pagato, come è giusto pagare gli errori. Il settarismo era forte e prese il sopravvento. Noi non siamo stati abbastanza determinati per fermarlo.

Il Settantasette è stato anche un anno che in Italia ha visto l’esplosione di un nuovo movimento, per molti versi assai diverso da quello del ’68. Dalla “piccola” Lucca, come guardavate a quello che accadeva a Bologna e in altre grandi città d’Italia?

Come dicevo prima, noi ci muovevamo verso i luoghi delle lotte e delle manifestazioni in Italia, avevamo contatti con le realtà toscane, ma anche a Milano (circoli del proletariato giovanile) Bologna, e Roma (via dei Volsci soprattutto). Tutti i sabati andavamo a Roma, alle manifestazioni.

Ricordo anche che quando arrivò la notizia dell’assassinio di Francesco Lorusso da parte dei carabinieri a Bologna, uscimmo tutti dalla Villa in corteo fino a Cortile degli Svizzeri dove andammo a urlare “assassini” davanti alla caserma. I caramba ci dispersero e ci beccammo pure il processo (tutti assolti per insufficienza di prove. Niente telecamere né telefonini a quel tempo!)

Gli anni Ottanta sono gli anni del riflusso dalla politica e di un ritorno all’ordine di quella composizione sociale che era insorta nel decennio successivo. Un riflusso frutto anche, come ricordavi tu stesso, di una pesantissima repressione statale, attuata tramite l’incarcerazione di migliaia di militanti. Che cosa rimase a Lucca dei collettivi e delle persone che erano state protagoniste di quel decennio?

A Lucca come in molte città italiane, la repressione, ma soprattutto la disillusione, uccisero il Movimento. Ognuno si ritirò in se stesso o prese amare strade che conducevano all’annientamento.

Anche io andai a stare in campagna e feci l’artigiano e il contadino.

Nei decenni successivi ci sono state altre esperienze di autogestione a Lucca, tutte però di breve durata. Pensiamo ad esempio a quella della Safil verso la fine degli anni Novanta, o a quella dell’ex Ostello in Via del Brennero da cui poi nacque l’esperienza del Cantiere Giovani, fino all’ultima esperienza delle Madonne Bianche nel 2013. Alcuni di voi, anche individualmente, hanno cercato di relazionarsi con queste esperienze?

L’esperienza delle occupazioni ha rappresentato per me una rivincita politica, sociale e culturale. Non ho mai smesso di frequentare spazi occupati, da Cox 18 all’Officina di Genova, dall’Isola nel Kantiere al Mattatoio di Roma, e via dicendo. Da lì è rinata la cultura musicale alternativa italiana, con le posse e tutto il resto. Sono stati anni fantastici di fermento artistico e di rinascita delle lotte, finiti tragicamente a Genova nel 2001.

Andavo spesso alla ex Safil, dove feci anche una serata come dj, invece all’ex ostello non sono mai andato, non so dire perché. In quanto alle Madonne Bianche posso dire solo che si sono prese un altro spicchio del mio cuore.

Che cosa pensate della situazione degli spazi di socialità e aggregazione a Lucca? Trovate che ce ne sia una mancanza oppure che ce ne siano a sufficienza? Ritenete che quello degli spazi sociali sia ancora un problema politico che è importante porre?

Il problema degli spazi di aggregazione adesso è ancora più grave che allora, almeno noi avevamo le piazze… Adesso che la socialità si fa da casa sui pc, i giovani, ma anche gli anziani, sono sempre più soli. Le città pullulano di buchi neri lasciati in abbandono dai comuni e dai privati. Ci si riempie la bocca con progetti tipo consumo zero riguardo alla nuova edilizia abitativa, ma non si investe mai sul patrimonio immobiliare già esistente e lasciato al completo degrado. I sindaci avrebbero tra le proprie facoltà quella di assegnare anche proprietà private abbandonate, in caso di emergenza abitativa o sociale. Ma quasi nessuno ha gli attributi per farlo. Di fronte alle pressanti richieste di spazi sociali si fa finta di comprendere il problema, si promette interessamento e poi non si fa un cazzo. A Lucca l’indirizzo del governo della città è emerso in maniera emblematica nel comportamento tenuto riguardo al Parco delle Madonne Bianche. Una vera vergogna, poi di fronte all’esasperazione che porta alle occupazioni, la dialettica è demandata alla polizia, che fa parlare il manganello, come accaduto per la brevissima occupazione del chiostro di s. Agostino 3 anni fa.

La situazione è questa, ed è per cercare ancora una volta di far emergere questo stato delle cose che personalmente sono coinvolto in questa avventura del Tram dalle Mille Finestre. La ricorrenza per me è solo un pretesto, odio le rievocazioni fini a se stesse, e se venisse a mancare l’aggancio con la realtà di adesso riguardo alla mancanza degli spazi sociali, mi ritirerei subito.

Torniamo per l’appunto all’associazione “Il tram dalle mille finestre”. Negli ultimi mesi avete organizzato molte iniziative (cene di finanziamento, una mostra allo Spazio LUM ecc.). Che tipo di accoglienza avete riscontrato? C’è un interesse per la vostra esperienza anche in generazioni che non state direttamente protagoniste dell’esperienza di occupazione della Villa?

Per adesso il riscontro che abbiamo avuto con le nostre iniziative è stato tiepido. Chi appartiene alla nostra generazione, magari si è dimostrato anche entusiasta dell’iniziativa, ma i più giovani non si sono ancora avvicinati come noi avremmo voluto alla nostra associazione. Non siamo secondo me ancora cosi bravi a comunicare in modo giusto con chi potrebbe essere interessato a ciò che vogliamo fare. Speriamo di migliorare. Ci stiamo provando.

Per i 40 anni dall’occupazione della Villa avete in programma una serie di iniziative che si terranno proprio a Villa Bottini il prossimo febbraio. Potete anticiparci qualcosa?

Di certo ci sono le mostre fotografiche permanenti sulla Villa e su alcuni artisti che hanno gravitato nell’orbita dell’occupazione. Stiamo producendo un video di interviste ai partecipanti, e abbiamo un accordo per produrre un libro fotografico sugli anni settanta e sulla Villa. Poi, come dicevo prima vorremmo mettere intorno a un tavolo coloro che ad oggi stanno partecipando alla autogestione di qualche spazio di socialità, per trasmettere il messaggio che è possibile, quando c’è la volontà e la capacità, il recupero di luoghi abbandonati per produrre servizi, cultura, controinformazione e via dicendo. Per dire soprattutto che è sacrosanto il tentativo di far rinascere spazi che altrimenti sarebbero destinati all’oblio, nonostante ci siano leggi (per noi sbagliate) che lo impediscono.

Per il resto ci saranno spettacoli di teatro, concerti e molto altro. Ma la stesura del programma è in lavorazione e ancora dovrà passare un po’ di tempo per la sua definizione.

Un’ultima domanda. Qual è il significato del nome che avete scelto, “Il tram dalle mille finestre”?

Il Tram dalle Mille Finestre è il titolo di un libro autoprodotto, che uscì subito dopo la fine dell’occupazione. Il titolo è l’emblema di un percorso comune, ma con diversi punti di vista.

Il libro peraltro lo abbiamo ristampato e si trova sui nostri banchetti insieme alle magliette.

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