Aspettando LOTTO, intervista alle compagne della tre giorni al Foro Boario

 

Oggi (Venerdì 3 Marzo) inizia presso il Foro Boario di Lucca la tre giorni di “Aspettando LOTTO – Non solo mimose”. Per questo abbiamo deciso di intervistare le compagne che animano questo progetto e che in poco tempo hanno costruito un weekend di fittissime iniziative intorno alle sensibilità femminili, con esposizioni artistiche, presentazioni, concerti e assemblee su questioni di genere. Il collettivo di Aspettando LOTTO riunisce compagne dei vari collettivi lucchesi e tant* solidal* che non dimenticano le questioni politiche e stanno anche costruendo momenti di contestazione al patriarcato e al maschilismo in vista dell’8 Marzo.

Qui potete trovare il programma completo.

1)Partiamo da voi. Come vi siete ritrovate? Facevate o fate tuttora parte di altri percorsi politici? Che cosa vi ha spinto a formare questo gruppo?

Alcune di noi erano già inserite nelle varie realtà assembleari lucchesi, altre sono donne solidali al movimento, sempre presenti alle nostre iniziative ed eventi di autofinanziamento. Queste ultime hanno avuto l’idea di creare un’occasione per onorare Marinella, femminista storica e donna che lasciato in eredità il suo impegno per i diritti delle donne, attraverso un’esposizione artistica aperta alle sensibilità femminili.


2)La prima edizione di Aspettando LOTTO si è tenuta l’anno scorso. Allora rimaneste soddisfatte in termini di partecipazione e apprezzamento da parte del pubblico? Che valutazioni avete tratto da quella esperienza?

Sì, è stato molto soddisfacente, il pubblico era interessato e l’evento è stato partecipato e ben accolto. E’stato il primo evento che abbiamo organizzato che cercasse attivamente la partecipazione femminile e proprio durante l’organizzazione di questo abbiamo iniziato a trattare più approfonditamente alcune questioni di genere in assemblea. L’edizione dell’anno scorso, però, si è concentrata molto sulla parte artistica tralasciando quella politica, per noi fondamentale all’interno del percorso femminista che vogliamo intraprendere nella città. In quest’edizione, infatti, abbiamo cercato di dare spazio alla parte di movimento, con l’assemblea che si terrà Venerdì 3 in vista dello sciopero globale dell’8 Marzo e la presentazione del libro “Sebben che siamo donne” con Paola Staccioli e Silvia Baraldini Domenica 5, oltre che all’esposizione artistica e alla parte musicale.


3)Vi siete poi riunite e ritrovate al di là dell’ultima edizione, per discutere e/o partecipare a manifestazioni o iniziative riguardanti le questioni di genere? Siete in contatto con altri gruppi in città che lavorano sulle vostre stesse tematiche?

Ci siamo riunite in via ufficiosa, siamo amiche, e capita spesso di discutere e confrontarci su queste tematiche nella vita di tutti i giorni. Durante l’organizzazione dell’edizione 2017, però, abbiamo posto le basi per la nascita di un vero e proprio collettivo femminista lucchese quindi in futuro non mancheranno le occasioni di riunirci in assemblee vere e proprie.


4)Quanto è importante per voi il momento del confronto in assemblea? Ci sono dei libri, degli articoli o dei blog che leggete e di cui poi discutere collettivamente? Che cosa consigliereste di leggere a chi volesse farsi un’idea di che cosa è o può essere oggi uno sguardo femminista sul mondo?

Il momento di confronto in assemblea è cruciale per noi: il nostro collettivo è nato da poco, dobbiamo stabilire una linea politica comune, toccare temi che sono stati poco affrontati nelle assemblee di realtà differenti alle quali abbiamo partecipato come singol*, e collettivizzare le nostre conoscenze per arrivare a un percorso di autoformazione.

E’ capitato che alcuni momenti di confronto partissero da spunti dati da letture, in particolare i blog Abbatto I Muri e Narrazioni Differenti e le pagina facebook dei vari collettivi femministi di tutta Italia. Per quanto riguarda i libri, ultimamente abbiamo parlato di “La donna a una dimensione” di Nina Power, “Sporche femmine scioviniste” di Ariel Levy, “Dovremmo essere tutti femministi” di Chimamanda Ngozi Adichie, “Sebben che siamo donne” di Paola Staccioli e articoli di Judith Butler. Tutto questo a livello personale, fuori da un contesto assembleare, ma ci proponiamo per il futuro di collettivizzare maggiormente letture, saperi ecc.

5)Dicevamo appunto che la violenza di genere si manifesta in molte forme non sempre facili da riconoscere, e non solo in quelle estreme dello stupro e del femminicidio. Esiste per voi una dimensione linguistica, simbolica, culturale della violenza di genere, al di là di quella fisica?

Sì, la violenza di genere non è soltanto quella fisica, è anche quella quotidiana intrinseca alla società patriarcale, che va estirpata tramite l’educazione alle differenze; è violenza discriminare una donna per le sue scelte sessuali, per uno stile di vita considerato “promiscuo”, per il campo in cui opera, come nel caso delle sex workers. E’ violenza la discriminazione fisica, il body shaming verso i corpi che non rientrano nei canoni fisici promulgati dalla società del consumo, è violenza il linguaggio che pertiene a questi campi, come “puttana”, “troia”, “balena”, è violenza la rappresentazione oggettificata e mercificata dei corpi delle donne, quando esse non ne siano consenzienti, la rappresentazione stereotipata ritratta dall’immaginario mediatico.


6)Il femminismo contemporaneo, operando una semplificazione, sembra strutturarsi attorno a due poli. Da un lato chi pensa che la violenza di genere, il disprezzo e il dominio degli uomini sulle donne siano prodotti soprattutto culturali e che dunque vadano contrastati tramite l’educazione alla parità di genere e al rispetto delle differenze; dall’altro chi collega il patriarcato e la subalternità della donna nella nostra società a delle forme di oppressione e discriminazione socio-economica che hanno a che fare con la divisione e lo sfruttamento della forza lavoro operata dal capitalismo e che dunque vede necessario incrociare il femminismo con la lotta di classe. Voi come vi collocate dentro questo quadro?

È evidente e storicamente comprovato che l’emarginazione e la sottomissione della donna sia un carattere dominante nella cultura dei popoli da secoli e secoli. La logica del disprezzo maschilista ha infatti sempre trovato riscontro in ogni ambito sociale, culturale ed anche religioso. Non si può negare quindi che lo status della donna contemporanea, come quello di chi ci ha precedute, sia un fatto anzitutto culturale, un retaggio di prevalenza e dominio che ha avuto la capacità di insediarsi in ogni ambito del vivere femminile e che tutt’ora, a decenni dalle lotte delle prime femministe, è presente, mutevole e liquido si adatta alla società in cui vive, riuscendo ad aggirare con metodi e psicologie sempre più sofisticate i risultati e i traguardi delle lotte portate avanti fino a questo momento.

In contrapposizione ad un retaggio culturale sbagliato e malsano ogni ambito dell’educazione che sia familiare, che sia scolastico, deve catalizzare tutti gli strumenti a propria disposizione per instaurare fin da principio quel sistema mentale che permette non solo l’inclusione, ma bensì il totale annullamento della percezione di differenze.

Non possiamo però aspettarci, in quanto donne, che la nostra posizione possa essere riscattata unicamente dal cambiamento culturale delle popolazioni, certo tale condizione favorirebbe l’aggregazione e lo scambio, ma non basterebbe per cambiare la condizione sociale in cui da secoli ci facciamo tenere imprigionate, in quanto il sistema capitalista agisce ben al di là del semplice problema culturale. Il capitalismo infatti domina il nostro vivere innanzitutto come esseri umani, differenziando la popolazione mondiale in due classi, gli sfruttatori (loro), e gli sfruttati (noi). All’interno della classe degli sfruttati si suddividono le varie realtà e disagi dell’essere “la classe sottomessa ” fra cui anche quello di essere donne.
Le lotte di classe hanno insegnato ai movimenti femministi, che le classi hanno bisogno di rivoluzioni e che fino a che l’ultima delle categorie di emarginazione operate dal capitalismo non sarà liberata la classe non sarà libera, e fino a che la classe unitamente e coordinatamente non chiederà la rivoluzione non ci sarà rivoluzione. È necessario, se non totalmente indispensabile, che ogni donna, concependo un insieme, si identifichi prima di tutto come classe, come sfruttata, come entità richiedente per poter poi educare il proprio agire e il proprio vivere a una posizione di riscatto e di rivalsa, non solo culturale, bensì sociale, di classe, di metodologia di lotta per la propria vita, per il proprio ruolo, per la propria affermazione, non come donna superiore, bensì come classe superiore, unita agli immigrati, agli omosessuali e a tutti coloro che come noi devono concepirsi forza lotta.

7)Molte di voi hanno partecipato alla manifestazione “Non una di meno” del 26 novembre scorso. Come avete vissuto quella giornata, che sensazioni e impressioni avete provato attraversandola?

La manifestazione del 26 novembre a Roma è stata estremamente positiva e catartica per la nostra formazione. Come giovani femministe lucchesi è stata la prima volta in cui ci siamo trovate in corteo con una componente femminile tanto alta e dove era centrale il tema dell’antisessismo. L’atmosfera della manifestazione era stimolante, sono stati fatti svariati interventi riguardo a questioni d’interesse come le politiche di governo che relegano la donna al ruolo di madre (bonus bebè e Fertility Day) o i tagli subiti dai centri antiviolenza.

8)Torniamo alla tre giorni di Aspettando LOTTO. Ci saranno musica, arte e letture “aperte – come scrivete nel volantino – ad ogni sensibilità femminile”. La vostra è una decisione “d’occasione” o pensate che esista una peculiarità dell’arte al femminile, al di là della qualità estetica della stessa?

Questa è una domanda carica di significato, traducibile con “esiste una sensibilità femminile?” ovvero “le differenze tra uomini e donne esistono o sono solo costruzioni sociali?” In assoluto no, non crediamo che esista una peculiarità dell’arte al femminile. Come non esistono reali differenze biologiche tra maschio e femmina, al di là delle ovvie diversità fisiologiche. Le discrepanze che ad oggi possiamo osservare tra uomini e donne sono, a nostro avviso, quasi esclusivamente dettate dall’educazione: sono quindi un costrutto sociale. Un esempio banale ma esplicativo del fenomeno: una bambina cresciuta sentendosi dire “comportati da signorina” interiorizzerà precetti diversi da quelli di un bambino educato a suon di “solo le femminucce piangono!”: ciò si trasforma, ad esempio, in propensione all’arroganza e alla violenza negli uomini e alla sensibilità e sottomissione nelle donne. In campo artistico questo può talvolta rispecchiarsi nelle tematiche trattate, nell’arte femminista sono spesso affrontati temi quali il ruolo la condizione sociale della donna. In generale il punto di vista di una donna sarà diverso da quello di un uomo, sia per l’educazione ricevuta, sia per il percorso storico-sociale, a causa di secoli di emarginazione. Spesso infatti ciò che è prodotto da donne si porta dietro il carico della cultura da cui sono influenzate e dal disagio che essa può provocare. Solo in questo senso possiamo parlare di peculiarità dell’arte femminile.

Nelle due edizioni abbiamo deciso di non selezionare tematiche prettamente legate alle questioni femminili – possono essere esposte opere di qualsiasi ambito e tema – ma sicuramente abbiamo approfittato dell’occasione per creare uno spazio femminile nel mondo dell’arte, ammettendo la partecipazione di chiunque si sentisse donna all’esposizione.


9)La tre giorni di Aspettando LOTTO è inserita in un ciclo di eventi e di iniziative che sono parte della campagna “Io sto con la Lucca che lotta” , il cui ricavato andrà a sostenere le spese legali delle realtà antagoniste, antifasciste e anticapitaliste che hanno praticato il conflitto sociale in città negli ultimi anni e che adesso devono far fronte alla repressione. Da che cosa nasce la vostra adesione a questa campagna?

Il femminismo che pratichiamo è intersezionale e militante, pensiamo che il patriarcato sia diretto discendente del capitalismo e per rovesciarlo ci sia bisogno della lotta di classe. Per questo abbracciamo a pieno gli ideali promulgati dalle realtà antagoniste lucchesi, di cui a vario titolo facciamo parte. Inoltre su alcune di noi gravano denunce, così come sui nostri compagni, per cui ci impegniamo assieme per creare una rete di solidarietà e sostegno con l’obbiettivo di far fronte alle spese legali che la repressione cittadina ci impone.

10)Per l’8 marzo il movimento Non una di meno, con il sostegno dei sindacati di base, ha promosso una giornata di sciopero generale e di mobilitazione femminista contro la violenza di genere. Uno sciopero che si terrà in contemporanea non solo in diverse città del nostro paese, ma anche in decine di Stati in tutto il mondo. Pensate di organizzare qualcosa anche a Lucca in quella occasione?

Sì, infatti abbiamo organizzato un’assemblea aperta all’interno dell’evento, si terrà Venerdì 3 alle 17 al Foro Boario. Durante l’assemblea abbiamo intenzione di partire da come mai vogliamo scioperare e come mai è necessario farlo, analizzeremo quindi gli 8 punti emersi dai tavoli che si sono tenuti a Bologna, soffermandoci con particolare attenzione su un paio di questi. Discuteremo poi su come agire a Lucca, organizzeremo il nostro spezzone all’interno della manifestazione cittadina dell’ 8 Marzo ed eventualmente un ulteriore contributo che decideremo in assemblea, che potrà essere un presidio, degli workshop, un happening… Siamo apert* ad ogni contributo!

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