Lucca al ballottaggio. Né con Santini né con Tambellini
Partiamo dai due dati più importanti che le elezioni comunali lucchesi tenutesi domenica scorsa ci consegnano: il ritorno del bipolarismo e la maggioranza assoluta degli astenuti.
Possiamo senza dubbio affermare che anche il risultato di Lucca si pone in sostanziale continuità con il trend nazionale che vede un ritorno del bipolarismo centro-destra/centro-sinistra, con il M5S che subisce una battuta d’arresto e perde posizioni come principale competitor, pagando in particolar modo il fallimento della giunta Raggi e il processo di istituzionalizzazione che lo porta ad essere visto sempre meno come un partito anti-sistema.
L’altro dato macroscopico con cui fare i conti è la bassissima affluenza alle urne. Meno di un lucchese su due (49,35 %) si è recato a votare, segno di una disaffezione profonda che non deve sorprendere più di tanto in realtà: è l’esito naturale e conseguente di una campagna elettorale che non ha mai davvero ingranato e appassionato, per il semplice motivo che le differenze tra centro-destra e centro-sinistra, a Lucca come sul piano nazionale, sono sempre meno visibili. Va detto che già alle comunali del 2012 l’affluenza fu piuttosto bassa (56 % circa); tuttavia soltanto 6 mesi fa, al referendum costituzionale del 4 dicembre, si recarono alle urne il 70 % degli elettori lucchesi. Quasi un terzo dei votanti di allora, questa volta sono dunque rimasti a casa. In un contesto in cui il voto viene visto come un’arma di espressione politica perlopiù in senso punitivo verso chi governa, essa non può dunque che esprimersi o con il voto contro o con l’astensione.
Andiamo a vedere più nello specifico i risultati delle urne, tenendo conto che se le percentuali vanno pesate, ancora più importante è contare i voti effettivi.
Il centro-sinistra del sindaco uscente Alessandro Tambellini è in testa con un lieve vantaggio (37,84 %) circa rispetto allo sfidante di centro-destra Remo Santini (35,32 % circa). Dentro lo schieramento di centro-sinistra, il Pd rimane il partito più votato con il 21 % dei voti, seguito da Lucca Civica (8,70 %) e da Sinistra per Tambellini (5,82 %). Poco più di una manciata di voti per le due liste minori della coalizione, Lucca per l’Ambiente e Lucca Civica. Una percentuale complessiva che è 10 punti sotto il risultato ottenuto al primo turno di 5 anni fa (più di 5000 voti in meno) dal centro-sinistra, e che si spiega solo in parte con il drenaggio dei voti a favore delle candidature di Matteo Garzella e di Marina Manfrotto, in rottura rispettivamente a destra e a sinistra della coalizione Tambellini. La dimensione punitiva del voto, si è manifestata in questo caso con un aumento dell’astensione a danno del centro-sinistra e in particolar modo delle sue liste civiche. Più contenuto il calo di voti per il PD, che perde nel complesso soltanto 500 voti.
Per quanto riguarda il centro-destra, sostanzialmente stabile Forza Italia intorno al 10 %, in aumento la Lega Nord ma con percentuali più contenute rispetto al piano nazionale (5,78 %), così come Fratelli d’Italia (4,82, %). Il restante 15 % dei voti per Santini se lo prendono le due liste civiche della coalizione, che risulta completamente mutata nella sua fisionomia rispetto a 5 anni fa, quando il centro di Fazzi e il centro-destra di Favilla decisero di marciare separati.
Alle loro spalle si attestano il candidato di Casa Pound Fabio Barsanti, che con il 7,84% capitalizza una campagna elettorale che il suo partito ha saputo preparare con anticipo su tutti gli altri concorrenti, e il M5S di Massimiliano Bindocci con il 7,54 %: un mezzo flop, non essendo riuscito a superare la percentuale di 5 anni fa e avendo perso quasi 2000 voti rispetto alle regionali del 2015. Alle loro spalle, con risultati più contenuti ma probabilmente sufficienti per entrare in consiglio comunale, troviamo le liste civiche a sostegno di Donatella Buonriposi (5 % circa) e dell’ex Pd Matteo Garzella (4 %). Risultati più modesti per Marina Manfrotto di Lucca Città in Comune (sinistra) e per la Lega Toscana di Ilaria Quilici, che non riescono a entrare in consiglio comunale.
Delle elezioni dunque che ci consegnano due dati sostanziali:
1)Un netto spostamento a destra della geografia elettorale. La somma di Casa Pound, Fratelli d’Italia e Lega Nord raggiunge quasi il 19 % dei votanti, mentre nel Pd l’assessore alla sicurezza Raspini, distintosi per politiche anti-degrado neanche vagamente “di sinistra”, è il candidato con più preferenze (690).
2)Una relativa stabilità istituzionale. Il voto di protesta fuori dai due principali schieramenti, se mettiamo insieme i voti di Casa Pound e del M5S, non riesce infatti a creare dei reali problemi di governabilità per gli assetti di potere cittadino.
Una stabilità che è anche economica, nella misura in cui i risparmi accumulati da un ceto medio florido negli anni di vacche grasse continuano a fare da tampone al darsi di forme di conflittualità e di tensioni sociali capaci di pesare anche in sede di voto. Ma è appunto una stabilità illusoria o che scricchiola, lo vediamo bene dai tassi di astensione o dal consenso che va a premiare la destra nelle sue varie articolazioni. Segno di un’insofferenza sociale che è più che mai necessario saper interpretare e organizzare verso altre direzioni. Da ultimo, due note.
Il successo di CasaPound
Un vincitore di queste elezioni al momento è sicuramente Fabio Barsanti. Nonostante si fosse candidato in passato per il Popolo della Libertà, è riuscito a presentarsi come una novità e un volto di rottura, anche se abbiamo già parlato dei suoi trascorsi e delle affiliazioni squadristiche del suo partito. Il fatto che Lucca, da decenni e in particolar modo a partire dagli anni 2000, sia stato un brodo di coltura del neofascismo (ieri rappresentato politicamente da Forza Nuova, oggi da Casa Pound), dove gli squadristi hanno spesso goduto di tolleranza istituzionale e non sono mai stati considerati come un corpo estraneo dal tessuto cittadino, non basta tuttavia a spiegare i circa 2900 voti ottenuti da Casa Pound e dalla lista civica ad essa collegata.
Sicuramente in questo successo ha pesato la continua visibilità mediatica che Barsanti ha ricercato e ottenuto in questi anni sui giornali e su tutti i media cittadini, iniziando la campagna elettorale prima di tutti gli altri e facendo un investimento sulla sua figura di leader. Ma c’è dietro anche un lavoro sul territorio fatto di presidi per la sicurezza nei quartieri (della cui utilità effettiva ci chiediamo quale sia il riscontro), pulizie di parchi abbandonati, raccolta di generi alimentari per alcune famiglie italiane disagiate che ha creato nel tempo una qualche credibilità e anche una simpatia attorno a Casa Pound. Un lavoro che i candidati di estrema destra hanno saputo capitalizzare efficacemente in campagna elettorale battendo pezzo per pezzo il territorio e adottando una comunicazione oggettivamente vincente e capace di intercettare un certo malcontento popolare, approfittando anche della frammentazione e della mancanza di leadership che il centro-destra ha avuto in città e in consiglio comunale negli ultimi anni. Partito “pesante” radicato nel territorio ed efficacia comunicativa sono stati gli ingredienti del successo di Casa Pound.
Lotte senza rappresentanza, l’astensione come campo di contesa
Altro elemento degno di nota è l’uscita dal consiglio comunale di un’opposizione di sinistra al PD. Il modesto risultato di Lucca Città in Comune sembra spiegarsi perlopiù con il relativo successo di Sinistra per Tambellini, che ha saputo intercettare quella quota di elettori di sinistra delusi dal PD che costituivano il primo bacino di riferimento conteso dalla candidatura di Marina Manfrotto. Ma ha pesato ancor di più la formazione tardiva della lista, che non le ha permesso un radicamento sul territorio costruito prima della campagna elettorale. Molto difficile se non impossibile, in queste condizioni, riuscire a fare meglio.
Gli ultimi 5 anni a Lucca sono stati anche gli anni in cui delle lotte sociali importanti si sono date e hanno mobilitato numeri rilevanti, facendo emergere il protagonismo di una soggettività giovanile che ha praticato percorsi di opposizione sociale e momenti di contrapposizione in piazza sicuramente notevoli e inusuali per una città come Lucca (basti pensare per l’ultimo anno, alla contestazione contro Renzi o a quella contro il G7). Pensiamo sia possibile rinvenire una qualche traccia di questi sommovimenti, nel voto di ieri? Ambivalentemente, ci sembra di no, e questa ambivalenza ha un lato positivo e uno negativo.
Di positivo c’è il fatto che queste lotte sono nate fuori e si sono via via sempre più poste contro l’orizzonte della rappresentanza, intuendo e facendo propria una tendenza in atto che ci parla di un allontanamento irreversibile tra istituzioni e popolazione. Una parte forse piccola ma non irrilevante del non voto di domenica che ha penalizzato il centro-sinistra, deriva infatti anche dalle contraddizioni che queste lotte hanno fatto esplodere, mettendo in difficoltà più di una volta l’amministrazione di Tambellini e la sua evidente linea moderata-neoliberista.
Il limite di queste lotte sociali, perlomeno ad oggi sta però nel non essere state in grado di trovare una sintesi attorno a una diversa idea di città che potesse fungere da moltiplicatore di energie capace di spostare l’asse del dibattito pubblico. Un’idea di città che non per forza doveva o dovrebbe tradursi in una lista, ma che sia capace all’occorrenza di riversarsi in maniera attiva contro il voto e il meccanismo di delega della rappresentanza.
Perché nonostante tutto, queste elezioni ci parlano anche di un campo enorme che andrebbe conteso, il vincitore assoluto di queste elezioni: quel 50 % e più di astenuti, senza contare gli oltre 9mila residenti stranieri. Un dato positivo che ci dice che la maggior parte dei lucchesi non si riconosce nell’ultradestra e neppure nelle politiche liberiste. Ma come trasformiamo questa disaffezione verso la politica istituzionale in volontà di scontro aperto con questa politica? Come trasformiamo il disinteresse che oggi è costituito perlopiù da rassegnazione, in volontà di lottare collettivamente per migliorare le proprie condizioni di vita?
Domande che sono sul tavolo e che è necessario porsi seriamente in un’ottica pratica e organizzativa, invece che abbandonarsi allo sconforto e alla disperazione per il consenso ottenuto dai fascisti, che per quanto non trascurabile, è ben lungi dall’essere ancora maggioritario a Lucca (stiamo parlando infatti di 2900 voti su 89.000 residenti). Quello che invece occorre fare oggi, per chi si propone davvero di contrastare il radicamento sociale dei fascisti, è rimboccarsi le maniche, riprendere ad attraversare il territorio, essere disposti a muoversi nell’ambivalenza di istanze che animano quella composizione sociale impoverita che dovrebbe essere il bacino di riferimento per ogni cambiamento radicale dell’esistente, riprendere il lavoro quotidiano di organizzazione di studenti, precari, disoccupati, del ceto medio impoverito e di tutti quei soggetti colpiti dalla crisi nella direzione del conflitto del basso contro l’alto.
Chi invece anche a Lucca, come sta avvenendo del resto un po’ ovunque in Europa, continuerà a lanciare appelli a favore dei “fronti antifascisti” a trazione centro-sinistra, continuando a non accorgersi del fatto che sono proprio le politiche neoliberiste e di taglio del welfare eseguite dal PD a produrre quell’insicurezza sociale e quel risentimento su cui i fascisti acquisiscono consenso, e chiudendo gli occhi sullo scivolamento a destra di questo partito sui temi dell’immigrazione e dell’ordine pubblico, per noi è parte del problema, non della soluzione. Per questo dentro questo ballottaggio non c’è alcuna rappresentanza possibile e soprattutto non c’è nessuna reale alternativa, siamo davanti a due facce della stessa medaglia. Né con Tambellini né con Santini, ma sempre dalla parte di chi lotta per un’istruzione e una sanità pubblica, universale e gratuita, contro il fascismo e il razzismo, e per riconquistare casa, reddito, dignità e diritti sul lavoro. E che lo fa senza delegare a nessuno.