Fascismo e antifascismo a Lucca, quattro mesi dopo le elezioni

La sera dell’11 giugno, Lucca diventa la città di medie dimensioni con l’estrema destra elettoralmente più forte d’Italia. Il candidato sindaco di Casa Pound, Fabio Barsanti, con 2900 voti sfiora l’8 % dei consensi  – il 4 % reale, considerando che metà degli elettori non è andata a votare – ed entra in consiglio comunale. Per alcuni, l’ovvio risultato di un radicamento storico del neofascismo nel tessuto cittadino (con trascorsi criminali da parte di diversi suoi esponenti, dal pluricondannato ordinovista Marco Affatigato, fino allo squadrismo dell’ex gruppo ultras dei Bulldog) che ha saputo cogliere il momento giusto per il “salto di legittimità”. Per altri, una sorpresa amara e inquietante, la scoperta che i fascisti possono diventare, nel mezzo della crisi, una forza anche elettoralmente considerevole, approfittando dei vuoti lasciati da altri.

 

La portata di quanto avvenuto non poteva essere sottovalutata, da nessuno. E infatti in questi mesi abbiamo potuto leggere su diversi quotidiani nazionali analisi, inchieste, narrazioni di quella che è stata ribattezzata “la marcia su Lucca”. Non entriamo qui nel merito dei contenuti spesso discutibili e parziali di questa produzione. Il punto è capire che l’esistenza del neofascismo a Lucca, se negli ultimi anni (e segnatamente dopo la crisi di Forza Nuova e lo scioglimento dei Bulldog avvenuto tra il 2008 e il 2010, dovuto al processo per associazione a delinquere contro 14 squadristi) era diventata un problema sommerso, che non interessava più né ai giornali locali né ai membri delle istituzioni, nei prossimi mesi e presumibilmente anni sarà invece uno dei temi (se non il tema) su cui si dividerà la comunità cittadina, a tutti i suoi livelli.

 

Il vero successo di CasaPound, ben più che nei 2900 voti ottenuti, sta in questo, nell’essere riuscita a mettere in campo un’iniziativa politica che costringe a prendere posizione, a dover stare da una parte o dall’altra. Ciò è risultato evidente, ad esempio, nell’astuzia con cui “i fascisti del III millennio” hanno saputo piegare a loro favore una dichiarazione a caldo del neo-eletto sindaco Tambellini, vincitore al ballottaggio per 360 voti sul candidato di centro-destra Remo Santini: “Ho vinto per la Lucca buona!”. E CPI subito pronta a diffondere sui social, sul web, sulle porte della sua sede e addirittura su delle magliette: “E noi siamo la Lucca cattiva!”, ambendo ad appropriarsi la rappresentanza degli oltre 60.000 lucchesi che non hanno votato centro-sinistra. Sulla necessità di far saltare questa bipartizione, secondo noi falsante, torneremo alla fine.

 

 

Cercando di raccogliere il sentimento di shock post-elettorale, evitando che vada disperso e si spegna nell’indignazione social, un pezzo del mondo antifascista lucchese riconducibile all’area antagonista decide di convocare alcune assemblee pubbliche in Piazza San Frediano, la piazza tradizionalmente usata da CPI per le sue manifestazioni e comizi. Malgrado l’eterogeneità politica della composizione di queste assemblee, sicuramente non prive di contraddizioni, si trattò di un tentativo di risposta sicuramente insufficiente e tardivo ma che poteva essere interessante intraprendere, con l’obiettivo di spostare verso determinate posizioni  l’agenda politica di tutti coloro che, anche a seguito del risultato delle urne, si chiedevano cosa e come fare per tornare a contrastare i fascisti. Il percorso tuttavia, pur vedendo la partecipazione di quasi un centinaio di persone ad entrambe le assemblee, e pur delineando una pluralità di fronti su cui utilmente lavorare in senso antifascista, non riesce a darsi una continuità e arriva presto ad esaurimento.

 

Tre settimane dopo le elezioni, nel bel mezzo di luglio, arriva una notizia molto pesante, ma che passa complessivamente sotto silenzio: il processo Bulldog finisce con la prescrizione per tutti e 14 gli imputati di associazione a delinquere (per minacce, percosse, lesioni, danneggiamenti e altri reati), facendo scampare agli ultras forzanovisti 76 anni di carcere complessivi.  Il senso di impunità che lascia questa prescrizione, non solo toglie ulteriormente freni alla loro disponibilità ad aggredire migranti, persone riconosciute come di sinistra o anche solo cittadini che finiscono nelle loro antipatie per motivi non politici – minacce, intimidazioni e aggressioni non si sono comunque mai interrotte negli ultimi anni, come sa chiunque giri in città la sera -, ma ha avuto anche un altro effetto: Forza Nuova dopo anni di assenza di iniziativa politica si è riaffacciata in città.

 

 

Si tratta ancora di un’uscita estemporanea (una delle “passeggiate per la sicurezza” promosse dal partito nelle ultime settimane in tutta la Toscana), troppo poco per parlare di un vero e proprio ritorno politico. Tuttavia è lecito supporre che, visto il successo elettorale di Casa Pound, anche il partito dell’ex latitante Roberto Fiore (riconosciuto come esplicitamente “nazifascista” anche da due sentenze della Cassazione) provi adesso a contendere alla formazione rivale una fetta degli elettori razzisti e dei fascisti dichiarati che praticamente ovunque in Italia, e a Lucca in particolar modo, si sentono in una fase di ascesa e sdoganamento.

 

A distanza di quattro mesi dal voto, ci ritroviamo dunque con CasaPound che sembra aver preso in mano, perlomeno sul piano del protagonismo mediatico, la rappresentanza dell’opposizione al centro-sinistra, cavalcando i temi della sicurezza (si vedano in particolare i recenti presidi al Luna Park), del “degrado” e dell’immigrazione, e una Forza Nuova che potrebbe addirittura provare a farle concorrenza, rivitalizzata dal senso di impunità per l’avvenuta prescrizione del processo Bulldog. In un quadro che vede un’avanzata e un consolidamento della presenza fascista a Lucca, che cosa ne è dell’antifascismo come valore (e, possibilmente, pratica politica concreta)?

 

Al momento quello che emerge, per lo meno sul piano della rappresentazione pubblica, è l’appropriazione da parte del centro-sinistra e del sindaco Tambellini di questo principio. Mentre negli ultimi anni chi ha continuato a subire minacce e aggressioni in città da parte dei nazifascisti lucchesi ha sempre avuto la sensazione di ritrovarsi in una condizione di solitudine politica, senza sponde in cui cercare appoggio e solidarietà, adesso che i fascisti sono riusciti a entrare in consiglio comunale e il problema “fascismo a Lucca” non è più un argomento tabù, anche di antifascismo (complice anche il contesto nazionale e internazionale) si sente il bisogno di tornare a parlare.

 

La marcia promossa dall’ANPI lo scorso 4 settembre in occasione dell’anniversario della Liberazione di Lucca e che ha visto la partecipazione di circa 200 persone (in larga parte riconducibili all’area dei partiti e dell’associazionismo di centro-sinistra, ma non solo), ha rappresentato il ricompattamento del “fronte democratico antifascista”, suggellato dalla presenza di alcuni consiglieri comunali e del sindaco in fascia tricolore.

 

Pochi giorni dopo, a seguito dell’annuncio da parte di Casa Pound e Forza Nuova di presidi e passeggiate per la sicurezza (sull’onda di alcuni episodi di microcriminalità verificatisi nelle ultime settimane di agosto che hanno alimentato la psicosi securitaria), Tambellini prende parola sulle ronde fasciste con un comunicato molto duro e persino sorprendente per chi negli ultimi anni – e tra questi ci collochiamo anche noi  – aveva criticato il suo silenzio o la sua incapacità a riconoscere (non diciamo a contrastare) il problema della violenza fascista a Lucca. Di seguito alcuni passaggi della presa di parola di Tambellini:

 

“Ho preso visione dei messaggi, degli annunci e dei comunicati diffusi in queste ore da Casapound e Forza Nuova che, a distanza di un giorno l’uno dall’altro, propongono passeggiate, presidi o pseudo-ronde per garantire, così dicono, senza però specificare le modalità, la sicurezza ai cittadini […]Promuovere ronde, o passeggiate della sicurezza o presidi della sicurezza o gazebo della sicurezza, peraltro portate avanti da persone e movimenti dichiaratamente neofascisti, dove militano soggetti noti per trascorsi di risse, minacce e vere e proprie aggressioni, è inaccettabile. Promuovere ronde nei quartieri per, come si legge nella nota di Forza Nuova, “garantire la sicurezza ormai non più garantita da uno Stato allo sbando che per portare avanti l’agenda immigrazionista mette a repentaglio l’incolumità degli italiani” è illegale, come illegale è praticare azioni di razzismo. Mi rivolgo alla città, alle forze politiche e sociali, che invito a esprimersi su questioni cruciali come queste: alle provocazioni rispondiamo con l’aggregazione; alla paura rispondiamo con la capacità di ognuno di noi di frequentare la città in modo positivo e vero, perché Lucca non è il Far West e non lo sarà mai.”

 

Ora, al di là del richiamo (ovvio dato il suo ruolo di sindaco) alle forze dell’ordine e agli altri partner istituzionali preposti a garantire la sicurezza e il controllo del territorio, non si può negare che queste dichiarazioni hanno oggettivamente segnato un cambio di passo: per la prima volta dopo tanto tempo, emerge da parte di un rappresentante istituzionale il problema della violenza fascista (ideologica e materiale) in quanto tale, senza ricorrere alla narrazione fuorviante della generica violenza politica, o del vandalismo, o della “guerra tra bande”, con cui si è sempre cercato di minimizzare la portata del problema fascismo a Lucca. Non si preme nemmeno troppo sul molle pedale dell’ “emergenza sicurezza” e della militarizzazione della città come unica risposta, forse nella consapevolezza che è stata proprio questa retorica (una retorica di destra, di cui però anche il centro-sinistra si è fatto via via, negli anni, sostanzialmente succube) a creare un terreno di legittimazione alle ronde fasciste.

 

Da cosa deriva quella che, prendendo per buone le sue parole, si configura come una vera e propria svolta di 180° da parte del sindaco Tambellini? Si tratta di un puro calcolo politico, come potrebbero pensare i più maliziosi, attraverso cui un centro-sinistra socialmente delegittimato ritrova una sua identità e compattezza come difensore delle istituzioni e dei valori democratici? Probabilmente non è (solo) così, ci sono anche altri elementi da considerare.

 

Il primo è che l’avvenuta prescrizione nel processo contro i Bulldog, rappresenta di fatto una sconfitta per la risoluzione legalitaria e giudiziaria della violenza fascista. “Ti aggrediscono? Denunciali alla polizia!”. Non c’è vittima delle aggressioni fasciste nella nostra città che non si sia sentita ripetere questa frase. Sorvolando sulle contraddizioni politiche enormi che comporta il delegare la propria autodifesa a quelle stesse forze dell’ordine poste a difesa di uno Stato e di un ordinamento politico-sociale  – almeno per quel che ci riguarda – da abbattere e rivoluzionare e peraltro spesso colluse con i fascisti stessi, il fatto che a dieci anni di distanza da una lunga e intensa stagione di violenze fasciste che hanno investito la nostra città non si arrivi a nessuna condanna per i responsabili, dovrebbe dimostrare anche ai meno prevenuti verso polizia e magistratura, l’efficacia molto relativa se non nulla del loro operato rispetto a questo problema. Basti solo pensare alle dichiarazioni del dirigente della Digos lucchese Leonardo Leone, che quasi dà il bentornato al “generalissimo” Andrea Palmeri (per anni capo degli squadristi lucchesi, poi latitante in Ucraina), invitandolo a tornare a Lucca come “libero cittadino”, dopo aver scampato una condanna a quasi sei anni di carcere nel processo per associazione a delinquere su cui è caduta la suddetta prescrizione a luglio.

 

 

Si può quindi supporre che, dopo questa prescrizione, il sindaco abbia sentito l’esigenza di farsi carico politicamente, in quanto istituzione, di mantenere alta la guardia in materia, forse anche in conseguenza di alcuni cambiamenti nella compagine di maggioranza – l’ingresso in consiglio di alcune figure under 30 e il sostegno alla sua candidatura della lista Generazione Lucca – che lo hanno reso più consapevole della persistenza e della gravità del problema della violenza fascista a Lucca. In un contesto in cui, perlomeno negli ultimi 4 anni, non si sono più verificati accoltellamenti e ferimenti gravi (l’ultimo episodio in questo senso risale forse alla Notte Bianca del 2013) finiti sulla cronaca locale, ma sono comunque proseguiti i pestaggi, le minacce, le aggressioni e gli agguati sotto casa, oltre a svariate situazioni di tensione – quasi tutte rimaste sommerse e non denunciate, ma ben note a quella fetta di cittadinanza soprattutto giovanile che vive la città anche nelle ore notturne – la variabile generazionale risulta infatti un fattore non indifferente rispetto alla conoscenza o meno di questo pezzo di realtà e di storia lucchese recente.

 

Soltanto una settimana dopo, commentando l’avvenuta estradizione dall’Inghilterra di Adam Mossa (noto squadrista lucchese condannato a 7 anni di carcere per aver fatto perdere un occhio a un operaio, Sasha Lazzareschi, colpito in viso da una bottiglia rotta nel 2010), il sindaco decide di prendere nuovamente la parola con un altro comunicato dai toni netti volto a ribadire questa sua nuova presa di coscienza. Anche in questo caso ne riportiamo alcuni passaggi:

 

“Purtroppo Sasha non è stato il primo e non sarà l’ultimo ragazzo minacciato, picchiato, aggredito verbalmente e fisicamente, inseguito e intimidito. Di Sasha, nella nostra città, ce ne sono altri, vittime di episodi che, spesso, restano nel silenzio, per paura di ulteriori ritorsioni. Se c’è una cosa che mi colpì favorevolmente in quella stagione [gli anni Duemila, ndr] attraversata da numerosi fatti di violenza fu il movimento di genitori, studenti, militanti di associazioni e partiti politici e semplici cittadini che decisero di mettersi insieme per mappare, collegare, denunciare, uno dopo l’altro, gli avvenimenti e ricostruire così la triste cronistoria cittadina legata alla violenza sistematica portata avanti da gruppi violenti e razzisti, appartenenti all’estrema destra lucchese. Fu un movimento importante, quello, perché svolse anche una funzione di sensibilizzazione verso le istituzioni, le forze dell’ordine e verso tutta la città. Oggi ne percepiamo la mancanza e mi sento in dovere di riprendere quello che è stato senza dubbio un momento importante per la nostra comunità: dobbiamo denunciare sempre ogni violenza subita, perché se un episodio singolo resta un episodio, tanti singoli episodi diventano una realtà da combattere. Alle forze di polizia, invece, chiedo di continuare a monitorare la città, di fare indagini e intervenire quando è necessario, perché il clima è tornato a farsi pesante e tetro e non può esserci giustizia, né condivisione, né crescita e uguaglianza dove c’è violenza verso tutto ciò che viene considerato diverso”.

 

Di nuovo, al di là di ciò che non potrebbe essere diverso dato il suo ruolo istituzionale (i richiami alle forze dell’ordine), siamo di fronte a parole nette, chiare. Parole che, magari, ai tanti e alle tante persone che sono state vittime della violenza fascista a Lucca negli ultimi anni, sarebbe magari piaciuto sentire prima. Il fascismo non è solo un fenomeno politico abietto e repellente, nonostante cerchi con tutte le sue forze di assumere un volto presentabile; è anche un fenomeno criminale, che fa della violenza di branco uno strumento di sopraffazione del diverso e del debole. Su questo punto il sindaco Tambellini si è finalmente deciso ad usare parole nette e chiare. Ed è giusto riconoscerglielo. Tuttavia, a nostro avviso, il rischio che ad oggi sembra concretizzarsi è quello del consolidarsi dell’opposizione Lucca Buona-Lucca Cattiva che invece andrebbe fatta saltare.

 

Il protagonismo mediatico del consigliere comunale Fabio Barsanti – ormai presenza fissa sui media locali con un ritmo di almeno due comunicati a settimana – sta infatti guadagnando a CasaPound la leadership dell’opposizione cittadina al centro-sinistra a scapito dello sfidante di centro-destra Remo Santini, eclissatosi dopo aver perso il ballottaggio. Ciò avviene grazie alla capacità di interpretare politicamente quel senso di rifiuto e di rigetto verso delle istituzioni percepite come lontane dalle frazioni più periferiche del nostro territorio, e viste come incapaci di farsi carico in senso forte dell’avanzare della povertà e del disgregarsi della coesione sociale anche nel nostro Comune. Nella psicosi securitaria e xenofoba dovuta alla paura di subire furti e rapine, si esprimono tutte le paure di vulnerabilità e di declassamento sociale di un ceto medio che vede erosi e minacciati quei livelli di benessere che, dopo 10 anni di crisi, non sono più garantiti.

 

A fronte della ascesa della formazione neofascista, che vedrà probabilmente un consolidamento del suo consenso elettorale alle prossime elezioni nazionali previste per febbraio, e a fronte delle difficoltà di un movimento antifascista autonomo che al momento fatica ad avere riconoscimento in città e a inserirsi nelle sue contraddizioni, sembrano essere rimasti solo l’Anpi e il centro-sinistra a interpretare quel sentimento di disagio e di paura conseguente alla rinnovata forza dell’estrema destra lucchese. E questo apre dei problemi enormi perché, al netto della buona fede e della buona volontà del sindaco o di questo o quel consigliere, il centro-sinistra è strutturalmente incapace di sottrarre a Casa Pound e più in generale alla destra i settori sociali che vengono privilegiati dalla loro propaganda.

 

Esemplare in questo senso è l’incapacità di impostare l’antirazzismo su un piano che non sia solo quello dell’appello alla carità cristiana o quello dei diritti di cittadinanza. Un’incapacità che deriva dal non voler fare i conti col senso di insicurezza sociale che vivono gli strati popolari, dovuto a un welfare pubblico ormai quasi inesistente (se non nella forma di un’elemosina da concedere sotto perenne ricatto e valutazione, nel caso del cosiddetto reddito di inclusione che partirà dal prossimo gennaio), e alla competizione che oggettivamente viene creata tra italiani e migranti poveri per l’accesso ai pochi sussidi rimasti. Lo si è visto chiaramente proprio negli ultimi giorni, in cui la decisione di alcuni consiglieri comunali di entrare in sciopero della fame affinché il parlamento approvi il disegno di legge a favore dello ius soli – cosa per noi sacrosanta, intendiamoci – entro la fine della legislatura ha fornito l’ennesimo assist a Barsanti, che ha rimarcato il disinteresse del centro-sinistra per i lucchesi impoveriti, ai cui bisogni invece provvederebbe Casa Pound con le sue raccolte alimentari.

 

Casa Pound, dopotutto, non è niente di così diverso dal fascismo delle origini, che aveva scopiazzato le rivendicazioni del movimento operaio e socialista, depurandole di qualsiasi contenuto realmente anticapitalista: i fascisti del terzo millennio non hanno fatto altro che appropriarsi e snaturare quelle pratiche che avevano permesso alla sinistra di classe di costruire il suo radicamento e il suo riconoscimento sociale tra le classi popolari. Le raccolte di beni alimentari vengono quindi usate come mezzi di carità selettiva e di clientelismo politico, invece che come mezzi per creare mutualismo, legami di solidarietà da spendere poi in un conflitto contro chi ci rende poveri (e non contro altri poveri, ma con la pelle di un altro colore); le operazioni di autorecupero collettivo di spazi pubblici abbandonati e degradati, con l’obiettivo di renderli dei presidi di socialità e autorganizzazione popolare, diventano quindi operazioni di pulizia asettica, che riconsegnano quei luoghi all’anonimato e alla dittatura del decoro; ecc. ecc.

 

Basterebbe poco, in realtà, per mettere in crisi una narrazione che dopotutto non è così invincibile: basterebbe cominciare a dire che per noi la parola sicurezza significa casa, reddito, diritti sul lavoro e salari dignitosi per tutti e tutte; che se troppe persone non hanno casa non è perché alcune famiglie di migranti poveri hanno accesso alle case popolari, ma perché non si investe più in edilizia residenziale pubblica per favorire il business degli affitti privati; perché esistono in Italia sette milioni di case private tenute sfitte, di cui 4000 a Lucca e se il Comune non ha il coraggio di requisire anche solo il 10 % di queste case (che basterebbero a tutte quelle 300-400 famiglie che da anni attendono la tanta sospirata casa popolare), è giusto organizzarsi per riappropriarsene; che gioire perché i migranti affogano nel Mediterraneo o crepano nei lager libici grazie a Minniti non cambierà di una virgola il fatto che grazie a leggi come il Jobs Act decine di migliaia di giovani e meno giovani fuggano dall’Italia ogni anno per non essere costretti a lavorare 20 ore per poi prendere 2 euro (due euro, avete capito bene), come denunciato da una lavoratrice delle pulizie di Capannori proprio in queste settimane.

 

Ma non basta più dirlo da soli, non basta più dirlo su facebook, e, in definitiva, non basta dirlo proprio. Occorre portare queste parole d’ordine nei quartieri popolari dove abita la nostra classe, avere la capacità di interloquire e di avere a che fare con pulsioni che ci possono far inorridire, ma che hanno il loro fondamento in una condizione di disagio, rabbia e frustrazione con cui dobbiamo fare i conti, rivolgendo quell’odio e quel risentimento non contro altri poveri e impoveriti, ma contro chi ci rende tutti quanti poveri e impoveriti, arricchendosi sulla nostra miseria: le banche, i grandi proprietari immobiliari, gli imprenditori mafiosi, gli speculatori finanziari. E occorre costruire nel concreto dei percorsi di scontro contro questi nemici, contro chi ci sfrutta sul lavoro, ci succhia il reddito con un affitto da rapina, distrugge i nostri risparmi, devasta e cementifica i territori per il suo profitto.

 

Se l’antifasciscmo vuole continuare a vivere, tornando ad essere riconosciuto come valore al di là delle cerchie militanti e al di là dell’esercizio della semplice memoria storica, gli antifascisti hanno il compito di calarsi nel presente e nelle sue contraddizioni, dando concretezza pratica allo slogan “Antifascismo (e antirazzismo) è anticapitalismo”. O si ha la volontà di fare ciò e se ne percepisce l’urgenza, o il rischio che l’antagonismo corre è quello di essere ridotto a una condizione di marginalità, a fenomeno folclorico, instillando all’esterno delle nostre cerchie la percezione deleteria che oltre alle feste e agli scontri in piazza, non ci sia niente nel mezzo.

 

 

Pensiamo che la forza di Casa Pound a Lucca, almeno in parte, sia dovuta proprio a questo, ai limiti di un antagonismo che in questi anni ha costruito percorsi e mobilitazioni importanti nelle scuole e nelle lotte per gli spazi di socialità, ma non è ancora riuscito a parlare davvero a quelle fasce sociali colpite dalla crisi, dando vite a dalle lotte capaci di ottenere visibilità e riconoscimento in città e soprattutto nei quartieri popolari. Perché il contrario della guerra tra poveri che viene agitata dalla cosiddetta “Lucca cattiva” (contro migranti e poveri indecorosi, non certo contro i ricchi e potenti), non è la pace sociale che è il vessillo del PD di Renzi e di Minniti, quella pace sociale che coincide con l’accettazione di un presente fatto di repressione, miseria e abbassamento delle nostre condizioni di vita, ma è la lotta di classe.

 

Ecco, è proprio questo il punto cruciale: a Lucca mancano dei percorsi di lotta continui, organizzati e riconoscibili che abbiano una connotazione di classe, i soli capaci di spezzare la falsa alternativa CasaPound – centro-sinistra. Al momento la soggettività politica che dovrebbe farsi carico di questo (enorme e non breve) compito sembra faticare ad emergere e a definire una strategia politica coerente; già capire chi (singoli e realtà organizzate) si ritrova in questi punti fermi e sarebbe disposto a impegnarsi in un percorso collettivo per attuarli, sarebbe un buon inizio. Non è più tempo di restare a guardare.

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