Intervista a Enoize 2018

Tra pochi giorni avrà inizio la seconda edizione di Enoize, festival dei vignaioli con possibilità di degustazione e acquisto dei prodotti esposti. Siamo andati a intervistare uno degli organizzatori per far conoscere meglio il significato e il valore di questa iniziativa.

 

1)Che cos’è Enoize? Come nasce questo festival?

Enoize è un progetto che vede la luce l’anno scorso, la prima idea però risale all’edizione 2016 del Borda!Fest per la precisione. Quello fu il primo anno in cui il Borda! si svolse nei sotterranei del Baluardo San Martino, e venne presentato per l’occasione anche “Prossima fermata. Una storia per Renato”, un fumetto scritto da Zerocalcare ed Erre Push nel decennale della morte di Renato Biagetti [ragazzo assassinato a colpi di coltello nel 2006 da alcuni neofascisti romani mentre tornava da un concerto di musica reggae, ndr]. Vennero a presentare il fumetto anche Stefania, la mamma di Renato, e suo fratello Dario. In particolare con Dario, giornalista, blogger e appassionato di vino, essendoci anche incontrati poco prima al Critical Wine a Livorno, ci era venuto in mente di replicare la stessa idea a Lucca proprio nel sotterraneo, che ci pareva una location fantastica per un evento di questo tipo.

Ci siamo quindi confrontati su come poteva essere strutturato un simile evento, ragionando anche circa le peculiarità che dovevano differenziarlo da altre iniziative che si tengono già in città, come ad esempio la presentazione di vini al Real Collegio. Il festival nasce quindi con la volontà di aprire un dibattito più ampio e consapevole rispetto al consumo critico dei prodotti della terra, del vino nella fattispecie. Enoize si propone di essere un momento di incontro tra chi il vino lo produce – e non fa assolutamente richiesta di certificazioni come il DOC, il DOCG o il DOP perché non considera queste certificazioni un sinonimo di qualità, come invece sono una buona produzione, l’aver messo le mani nella terra, il non aver usato materiali chimici ecc. – e chi vuole adottare un certo stile di consumo.

Enoize si configura quindi come un critical wine insomma. Il critical wine è un modello che viene da Veronelli, che è stato uno dei più grandi sommelier italiani. Secondo Veronelli la qualità del vino deriva dalla sua origine contadina e dal suo processo di lavorazione, non dall’etichettatura o ancor meno dal prezzo. Anche il “biologico” o il “biodinamico” sono categorie fuorvianti da questo punto di vista. è buono ciò che è prodotto bene insomma, non ciò che ha l’etichetta sopra. Quando quello dell’etichetta diventa un discorso puramente commerciale, nasce l’esigenza di slegarsi da questo meccanismo e di riappropriarsi di una produzione più genuina.

 

 

2)Quella di quest’anno è la seconda edizione del festival. Ci saranno delle differenze o delle innovazioni rispetto alla prima?

La prima edizione si tenne al Foro Boario a maggio 2017, con 13 produttori. Fu un po’ arrabattata come sono sempre le prime edizioni. Il produttore di vino, che fa di questa attività il suo lavoro di cui deve riuscire a campare ogni mese, decidendo di partecipare fa una scommessa. Perché parliamo di scommessa? Perché si tratta di una novità che la gente in quella città non conosce, e perché per questi produttori la partecipazione a questi eventi è anche una scelta politica che si pone in alternativa a quella che potrebbe essere una partecipazione al Real Collegio. Per noi è stata la prima occasione per prendere e consolidare i contatti: dei 13 produttori dell’anno scorso 7-8 ritorneranno anche quest’anno.

L’innovazione più evidente di quest’anno è la location: non sarà più il Foro Boario ma i sotterranei del Baluardo San Martino, tra Porta Santa Maria e Porta San Jacopo. Abbiamo deciso di realizzare effettivamente l’idea di partenza solo alla seconda edizione in modo da essere meglio organizzati e capaci di coprire i costi non indifferenti che comporta l’uso del sotterraneo.

 

 

3)Quanti produttori di vino ospiterete quest’anno? E quali sono i criteri con cui li selezionate?

Rispetto all’anno scorso il numero dei produttori di vino è salito a 17, ci saranno però anche produzioni di altro tipo come quella dei formaggi. I produttori non vengono selezionati tanto da noi quanto da loro stessi in un certo senso. Essi infatti fanno parte di “La terra trema”, un circuito che nasce su ispirazione delle idee di Veronelli di cui parlavamo, a partire dal centro sociale Leoncavallo di Milano. Trova poi spazio al Forte Prenestino con Enotica, ed entrambi i festival si sono poi ingranditi e sono riusciti a durare nel tempo, ormai saranno alla quindicesima o ventesima edizione. Le aziende agricole che danno la loro adesione a questa rete cercano appunto a partire da una serie di principi condivisi per fare fronte comune contro quella commercializzazione che abbiamo criticato prima. Per questo ci è sembrato naturale rivolgersi e appoggiarsi a loro in primo luogo. Abbiamo poi fatto riferimento anche ai GAS di territori vicini come Massa, Pisa e Livorno che ci hanno fornito altri contatti utili, alcuni di questi dovrebbero venire.

Cerchiamo comunque di rimanere all’interno di reti che hanno una certa idea e certi principi rispetto al lavoro, alla produzione, alla commercializzazione e al consumo e che vedono questi principi come un fattore di arricchimento.

 

 

4)Alla base di un festival come Enoize c’è sicuramente la volontà di accorciare la distanza tra produttori e consumatori, oggi fattasi assai larga a causa della rete della grande distribuzione. Qual è secondo voi il valore sociale e politico di un gesto come questo?

Credo di avere in parte già risposta a questa domanda in quelle precedenti, aggiungo però qualcosa. Marx diceva che la rivoluzione verrà fatta quando ci riapproprieremo dei mezzi di produzione. Bene, io credo che oggi con lo sviluppo della tecnologia noi stiamo perdendo una cosa grossissima, cioè la capacità di avere a che fare con le cose più basilari e manuali e questo avviene anche nella produzione del cibo. Se io vado all’Esselunga mi rendo conto che non sarei in grado di procurarmi e anche di cucinare la stragrande maggioranza dei prodotti che trovo esposti ed è una cosa che mi colpisce. Riscoprire come vengono materialmente prodotti gli oggetti e i beni con cui abbiamo a che fare nella vita quotidiana ha quindi un valore sociale e politico profondo, vuole riavvicinare la gente a come si fanno le cose.

Sentire l’importanza del rapporto con la terra – l’unica che abbiamo a disposizione – e la consapevolezza che non c’è un solo modo di usarla, è un qualcosa che dobbiamo risvegliare nella testa della gente. Far passare il messaggio per cui come ognuno di noi è parte di un problema, può però essere anche parte della soluzione se ci si attiva. Questo è qualcosa che abbiamo fatto in tanti ambiti a Lucca negli ultimi anni, dalle manifestazioni ai cortei, e che facciamo anche in occasione come questa parlando di consumi consapevoli, della necessità di riappropriarsi dei mezzi di produzione, di reimparare ad usarli a nostro favore. Direi che è questo il senso sociale e politico del festival, che è quindi chiaramente anche antifascista e antirazzista, perché il fascismo e il razzismo sono parte di quel tipo di prevaricazione e pregiudizio nei confronti degli altri che non possiamo non avversare. Siamo orgogliosamente antifascisti e antirazzisti.

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