La sicurezza che vogliamo è quella sul lavoro

Riceviamo e pubblichiamo questo interessante report inviatoci dal Collettivo Iniziativa Popolare di San Concordio che ripercorre i contenuti di un ciclo di iniziative e dibattiti dedicati al mondo del lavoro (fra insicurezza e precarietà, fra letteratura ed esperienze di lotta ed autorganizzazione di classe) che si è tenuto presso la biblioteca lo scorso settembre.

 

La sicurezza che vogliamo

“A settembre, presso la Biblioteca Popolare di S Concordio, si è tenuta una serie di iniziative sulle tematiche del lavoro articolata in tre sabati pomeriggio.

La prima giornata, organizzata assieme alla Società di Mutuo Soccorso Operaio, ha visto la  presentazione, con la presenza dell’autore, dell’ultimo libro di Alberto Prunetti. Un agile e spassoso racconto dal punto di vista working class: “108 metri – the new working class hero”, appunto.

Partendo dal libro che prende spunto dall’esperienza di emigrato in Gran Bretagna di Prunetti, il dibattito ha evidenziato come i processi di precarizzazione e frammentazione del mondo del lavoro siano gli stessi anche in paesi dalla forte tradizione operaia e che ancora oggi agli occhi di molti rappresentano un riferimento per tentare un’uscita dall’incertezza e dall’emarginazione sociale.

Si è visto come il falso mito della “fuga dei cervelli” si infrange con i dati reali che ci dicono che nonostante il numero dei laureati sia in aumento “il 70% della nuova emigrazione (oltre i due terzi) è costituita da persone con titolo di studio inferiore alla laurea.  Inoltre molti laureati che emigrano si ritrovano a fare lavori non qualificati nei paesi di approdo, lavori molto simili a quelli precari o in nero che facevano in patria.

Riguardo all’immigrazione che arriva in Italia, presentata come invasione, i dati Istat ci dicono che nel 2016 a fronte di un incremento di 10 mila unità il saldo migratorio netto (differenza tra gli italiani che emigrano e gli immigrati che arrivano in Italia ogni anno) “raggiunge quota 144mila (+ 8% rispetto al 2015) per effetto del maggiore aumento delle immigrazioni rispetto alle emigrazioni”. Quindi a prescindere da quello che si può pensare su come sia organizzata l’accoglienza, siamo su numeri che, se raffrontati ad una popolazione residente di circa 60 milioni, dà con chiarezza la misura di quanta speculazione politica venga fatta sul fenomeno dell’immigrazione.

La seconda giornata incentrata sulla sicurezza sui posti di lavoro, è nata dalla nostra insofferenza e rifiuto ad accettare il fatalismo con cui si assiste  periodicamente  alla sequenza incessante di infortuni e morti sul lavoro. Rifiutiamo anche la retorica istituzionale che alimenta la rassegnazione di fronte a questi eventi, come appunto fatalità o errori individuali, mentre dall’altra parte si mettono in essere le condizioni generali oggettive perché queste cose continuino ad accadere.

Il dibattito, organizzato insieme a Medicina Democratica ed alla Cassa di Resistenza dei Ferrovieri in Lotta, ha portato alla luce che la  tendenza costante, a partire dal 1990, ad una diminuzione degli infortuni sul lavoro, ha subito un’inversione negli ultimi anni nei quali si registra un continuo aumento di morti bianche.

Il motivo principale è la precarietà del lavoro che rende i lavoratori ricattabili.

Non solo i lavoratori  tempo determinato, a contratto, interinali, sono esclusi dalla possibilità di rivendicare i propri diritti di sicurezza ma anche quelli stabilizzati risentono della precarizzazione del lavoro a causa dello smantellamento dello Statuto dei lavoratori che permette un più facile licenziamento. Si ricordi il caso del Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza di Massa, Johnatan Milani, da parte di ESSELUNGA che è rimasto più di un anno senza stipendio in attesa della conclusione favorevole del processo. Ci sono però anche processi che non si concludono in maniera positiva, come quello di Riccardo Antonini di Viareggio licenziato dalle Ferrovie dello Stato, in quanto il giudice ha ritenuto più importante la fedeltà all’Azienda che la ricerca della verità sulle responsabilità della strage di Viareggio.

Le leggi che tutelano i lavoratori in materia di sicurezza ci sono e sarebbero efficaci a contrastare gli infortuni, il Decreto legislativo 81/08 ha oltre 300 articoli, suddivisi in XIII Titoli e 51 allegati che coprono tutte le situazioni di sicurezza.

Tuttavia queste leggi non vengono rispettate. Gli imprenditori hanno una bassa probabilità di subire un controllo e preferiscono rischiare la multa derivante da un improbabile controllo che investire sulla sicurezza.

La situazione degli organi di controllo delle ASL è ulteriormente peggiorata negli ultimi anni col definanziamento del SSN, per favorire la sanità privata, il personale è stato ridotto. Solo in Toscana, con la recente legge di accorpamento delle ASL, si sono avuti 2000 esuberi tra cui anche addetti alla medicina del lavoro; se a questo si aggiunge che negli ultimi anni non veniva garantito il turn over dei pensionati, il quadro è desolante: nella sede di Lucca si possono notare gli uffici lasciati vuoti dai tecnici andati in pensione o in esubero.

L’istituzione dei controlli nelle ASL e la legislazione sulla sicurezza sul lavoro sono frutto delle lotte degli anni ’70. La legge che istituisce il SSN e i servizi di controllo di medicina  del lavoro è la riforma sanitaria del 1978 (legge 833),  solo dopo trent’anni si riuscì a trasformare in legge la sanità universalistica prevista dalla Costituzione. I servizi di controllo delle ASL sono nati sul modello di quelli istituiti all’interno dei Consigli di fabbrica. In particolare si ricorda il Consiglio di fabbrica della Montedison, nel quale gli operai si dividevano per gruppi omogenei di rischio che discutevano della pericolosità del loro reparto, eleggevano un rappresentante ogni 15 dipendenti che riportasse nel Consiglio di fabbrica le problematiche di sicurezza, per farle poi diventare rivendicazioni al pari di quelle salariali. Medicina Democratica nasce su queste esperienze nel 1976, unendo operai, tecnici e scienziati, per lottare contro la nocività in fabbrica.

Oggi la situazione è molto diversa: mentre allora gli operai non avevano accesso ai documenti aziendali relativi alla sicurezza, oggi il RLS ne ha accesso e può portare le sue istanze nella riunione periodica annuale con i responsabili di Azienda. Ma anche in questo caso il diritto che esiste sulla carta non si declina nella realtà: ci sono molti RLS compiacenti col padrone, soprattutto nelle piccole imprese, e in alcune aziende nemmeno ci sono. Là dove esistono RLS che rappresentano realmente i lavoratori spesso non hanno gli strumenti di conoscenza per operare, perché la cultura della sicurezza non è più sviluppata nella discussione tra operai, ma è quella interpretata dal padrone, così come  la formazione che gli RLS ricevono. In questo quadro si sviluppa l’esperienza portata avanti da Marco Spezia, ingegnere consulente sulla sicurezza,  con “Know your rights!” ( www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210 ), una newsletter che raggiunge migliaia di lavoratori e che raccoglie i quesiti che molti operai ed RLS  pongono a Marco. Le sue risposte sono uno strumento utile di conoscenza concreta dei diritti in materia di sicurezza per i lavoratori.

Nonostante il ruolo che la legge assegna agli RLS, questi sono spesso deboli e isolati dagli altri lavoratori. Ci sono invece casi dove non sono isolati, lavoratrici e lavoratori sono consapevoli che le rivendicazioni sulla sicurezza sono strettamente legate a quelle salariali e non accettano che si faccia profitto a costo della loro pelle. Qui la scure della repressione padronale si abbatte senza esclusione di colpi.

E’ il caso dei ferrovieri che hanno subito diversi licenziamenti proprio per questioni legate alla sicurezza. Quella dei lavoratori ma anche quella degli utenti. I lavoratori hanno risposto con la solidarietà, istituendo una cassa per sostenere i licenziati, che è riuscita ad andare oltre l’appartenenza alle diverse sigle sindacali. Un risultato frutto di un lungo lavoro organizzato capillarmente, di opposizione e di lotta. La cassa, finanziata a livello nazionale con una piccola quota fissa dello stipendio mensile,  permette di sostenere le spese legali dei lavoratori  e supporta le vertenze degli stessi nei confronti della controparte padronale.

Un esempio di unità e di ricomposizione che dimostra come solo la lotta organizzata dei lavoratori è capace di porre un argine all’erosione dei diritti in materia di condizioni di lavoro e sicurezza.

La terza giornata abbiamo affrontato il tema delle pensioni. Poter andare in pensione ad un’età ragionevole con una pensione dignitosa è un aspetto non secondario della sicurezza che deve essere garantita dal lavoro. Una prospettiva che si allontana per molti e che è quasi una chimera per i più giovani. Secondo la narrazione dominante ciò è dovuto principalmente all’innalzamento dell’età media della popolazione

In realtà il deficit di contribuzione alle casse INPS è dovuto in gran parte alla precarizzazione del lavoro attuata dai governi di centro-destra-sinistra degli ultimi 25 anni. Le nuove forme di contratto prevedono livelli contributivi molto bassi o inesistenti. Abbassare il costo del lavoro vuol dire anche questo, pochi contributi e pensioni da fame. Perfino lo Stato e gli enti pubblici in molti casi non hanno versato tutti i contributi ai propri dipendenti per far quadrare i bilanci, mentre si aumentano le spese militari, per esempio.

Il dibattito ha illustrato i cambiamenti avvenuti con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo e ci siamo interrogati sui cambiamenti che si prospettano nel prossimo futuro. Grazie al contributo del patronato Inca è stato possibile entrare tecnicamente nel merito dei passaggi avvenuti in questi anni e fornire chiarimenti su posizioni contributive individuali degli intervenuti.

Possiamo dire che le tre giornate hanno seguito il filo della contrapposizione tra sicurezza e precarietà. La continua precarizzazione della classe lavoratrice ha prodotto  un peggioramento sia in termini salariali, diretti e indiretti (welfare e prospettive pensionistiche) sia ovviamente in tema di diritti e sicurezza sui luoghi di lavoro. Questo è il frutto di un arretramento trentennale progressivo delle nostre posizioni nel conflitto con le classi dominanti. La lotta di classe esiste e i padroni la conducono coscientemente, non lasciando indietro l’aspetto della propaganda come in tutte le guerre. Mentre ci fanno la guerra ci dicono che il conflitto non esiste, che abbiamo gli stessi interessi, che dobbiamo fare squadra con loro. Il risultato è che oggi si muore di più sul lavoro, i salari sono più bassi, i ritmi più alti e le pensioni più lontane e più misere.

I lavoratori non possono delegare ad altri la tutela dei loro interessi. Solo la solidarietà di classe, l’organizzazione e la lotta sono in grado di ottenere risultati. Lavoriamo perché questa iniziativa sia  stata un passaggio di ricomposizione, mettendo in rete le energie sul nostro territorio in questa prospettiva.”

 

CIP S. Concordio

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