“Una cinque giorni in cui ballare la sera e fermarsi a pensare il pomeriggio.” Intervista al Borda!Fest 2018

Circa un mese fa terminava la quinta edizione del Borda!Fest. Convinti che questo festival abbia ormai conquistato un valore culturale e politico indiscutibile e che sia un qualcosa da difendere e da far conoscere il più possibile, siamo andati a intervistare alcuni degli organizzatori proprio per mettere in luce su che cosa si fonda il valore di questa alterità rispetto a Lucca Comics, alla città vetrina della sicurezza e dei consumi, e più in generale che cos’è e che ruolo svolge il mondo delle autoproduzioni e dei festival autogestiti oggi in Italia. Buona lettura!

 

1)Borda numero 5: come è andata la preparazione di questa edizione? Quali sono state le principali novità rispetto allo scorso anno?

 

Federico: Quest’anno abbiamo dato un’impostazione diversa al Borda!Fest per quanto riguarda l’alternarsi del momento mostra-mercato e della parte musicale, ci siamo resi conto che gli anni scorsi non eravamo riusciti a creare un collegamento più diretto tra queste due parti, il Borda!Fest sembrava contenere in sé due festival a metà, quindi abbiamo optato per utilizzare il Foro Boario per i concerti soltanto venerdì e sabato, le altre sere siamo rimasti al baluardo San Martino. Qui si sono create delle situazioni molto belle con le gallerie piene di banchetti e nel frattempo i gruppi e i dj che suonavano. Siamo finalmente riusciti a fare un festival che unisce la parte grafica e la parte musicale, non un evento a metà tra le due. Questo format nel tempo ci garantirà anche una semplificazione della logistica, potendo fare tutte le cose nel solito posto.

 

Mattia: Sul piano pratico nei giorni precedenti alla manifestazione devo dire che siamo diventati delle macchine da guerra. Montare i tavoli, assemblare i pancali, caricare e scaricare. Abbiamo capito quello che serve nel baluardo e al foro e rispetto agli altri anni avevamo tutto già in mente quindi è stato molto più semplice.

Bè, le novità erano le belle serate al baluardo con la musica e i banchi di fumetti, le luci e i balli e il bar in stile spiaggia all’esterno! A parte questi elementi più visibili penso che le novità grosse siano state la buona partecipazione di pubblico alle presentazioni e una fanzine, Subter-BORDA!Zine n°4, impostata a mò di rivista con un bel po’ di ragazzi e ragazze lucchesi (e non) a collaborarvi. Nel corso dell’intervista io e Federico ne approfondiremo i contenuti.

 

2)Quest’anno si è avuta la sensazione di un maggior tasso di politica dentro il festival, dalla Bordazine dedicata alla precarietà lavorativa ed esistenziale, ai dibattiti e alle presentazioni che hanno avuto al centro l’antifascismo, la violenza di genere e le lotte delle donne, storie di ribellione allo sfruttamento. Volete parlarci del perché di questa scelta?



Federico: Credo che le fanzine degli anni passati fossero anch’esse molto politiche, la differenza è che rispetto a Subter (il titolo della fanzine di quest’anno), trattavano i temi in modo più astratto, le diverse tematiche affrontate nelle quattro edizioni precedenti erano mediate dalla metafora del popolo dei Subterraneans cioè il mondo delle produzioni sotterranee che emerge dal sottosuolo e percorre un cammino nella nostra dimensione. I temi erano toccati in un modo più indiretto e inoltre ci eravamo molto concentrati sul raccontare la rete dei festival italiani di autoproduzione, argomento che è stato utile esporre, ma che non interessa a tutti nella stessa misura. Con Subter invece abbiamo deciso di interrompere questa “quadrilogia dei Subterraneans”, costruendo una rivista che parla direttamente della realtà che ci circonda. Perché questa scelta? Perché ci siamo resi conti che non potevamo parlare all’infinito della contrapposizione tra cultura mainstream e cultura altra, ma invece dovevamo parlare di ciò che abbiamo intorno, le cose belle, le cose brutte, i problemi, come risolvere i problemi. Subter è servita anche a ricollegare la fanzine del festival direttamente con le vite di chi il festival lo rende possibile. Infatti le testimonianze sulle quali abbiamo prodotto gli articoli sono quasi tutte prese da ragazze e ragazzi che hanno fatto parte o fanno parte dell’organizzazione del Borda!Fest.

 

Mattia: Perché siamo giovani incazzati con una vita precaria tra le mani e un coltello in mezzo ai denti che non ci vogliamo lasciar strappare. Ci teniamo stretta, cioè, la convinzione che far parlare le lotte dentro gli spazi della cultura sia sempre più bello, utile, aggregativo e arricchente piuttosto che “parlare di lotte”, con elitarismo intellettuale, come qualcosa di astratto ed esterno a noi. Noi abbiamo internità alla condizione precaria, siamo in prima persona i soggetti sociali, i lavoratori, le donne, gli antifascisti, la classe di sfruttati alla quale alludiamo. Noi siamo così e quindi di conseguenza il festival così. E se quest’anno lo è stato di più penso sia dovuto al fatto che a Lucca e in Italia in generale serve la politica dalla strada per la strada in questo momento. Molti di noi sono in progetti diversi rispetto alla stessa comune realtà politica da cui è nato il Borda, nel 2014. Probabilmente questo ci ha spinto a riunire le forze, andare oltre il racconto della carovana subterraneans di cui parlava Federico, quella che ci ha accompagnato nelle scorse edizioni, e far la parlare direttamente quel noi comune attraverso ciò che ci unisce.

 

 

3)Che impatto ha avuto secondo voi l’edizione di quest’anno rispetto alla città e al mondo di Lucca Comics?

 

Federico: Da ciò che abbiamo visto, l’evento che organizziamo si stia facendo conoscere sempre di più nella nostra città, l’affluenza di persone, sia al baluardo sia al Foro Boario, è stata maggiore rispetto agli altri anni. Tanti lucchesi sono passati e ci hanno fatto i complimenti, del resto il Borda!Fest esiste da cinque anni, possiamo dire che nel conteggio della vecchiaia di un festival (sempre che esista), il nostro ormai è più che maggiorenne, un maggiorenne bello problematico, chiaramente. La cosa sicura è che in tanti si sono finalmente accorti della nostra esistenza. In quanto all’impatto col mondo di LC&G, diciamo che per ora stanno continuando ad ignorare la nostra presenza, da un lato bisogna sempre rendersi conto che per quanto il Borda!Fest cresca, rimane sempre un micro evento se paragonato a quello ufficiale, oltre tutto è pure posizionato in una zona nascosta del centro storico. In secondo luogo penso che con LC&G non ci siano contatti per più motivi, nel 2015 ci incontrammo in comune con un loro rappresentante allo scopo di esporgli il progetto di festival che avevamo in mente, non era nostra intenzione elemosinare niente né chiedere di essere inglobati da LuccaComics, ma soltanto chiarire la nostra posizione: come risposta ci venne proposto di prendere uno stand all’interno della Self Area (il padiglione dedicato all’autoproduzione e al fumetto indipendente). Noi rifiutammo, rendendoci conto che il nostro discorso non era stato compreso. LC&G è un festival che esiste perché esistono il mercato e il lucro, non nasce da urgenze o da motivi precisi e credo che i rapporti con il Borda!Fest rimarranno tali fino a che non si inventeranno un modo per provare a estrarre guadagno anche dalla nostra esperienza. Nel frattempo teniamo occhi e orecchie ben aperti.

 

Mattia: Sì, come è stato già detto hanno imparato a conoscerci come realtà che ogni anno ri-esiste. La città si è abbastanza abituata e magari quest’anno grazie alle serate al baluardo ha conosciuto di più il Borda!Fest tutto e non solo le serate grosse dei Sounds Of Subterraneans al Foro. Il BORDA!Fest – Produzioni Sotterranee è diventato un appuntamento annuale che il giovane lucchese aspetta e vive con gioia. Dall’espositore straniero da scoprire, alla birra da prendere insieme agli amici in mezzo a luci e colori inusuali per Lucca, all’ascolto di un dibattito che possa incuriosire riguardo ad ambienti sconosciuti e temi politici non affrontati prima. Una cinque giorni in cui ballare la sera e fermarsi a pensare il pomeriggio.

Anche il pubblico di Lucca Comics è molto interessato al Borda e incuriosito dalla visita dal circuito sotterraneo. Alcuni dei ragazzi amici che hanno presentato libri da noi li hanno presentati anche a Lucca Comics. Segno che la nostra cultura riesce ad arrivare anche oltre le nostre cerchie. Se si continua a dire le cose come le si dicono quando i libretti ce li stampiamo da soli penso sia bello e giusto entrare  a gamba tesa in case editrici e festival di mercato come il nostro vicino di casa. I nostri sono bravi ragazzi e non si fanno succhiare cuore, pancia e cervella. La sussunzione e il pescaggio del mercato dentro la produzione libera, sincera e sotterranea esiste eccome ma su quello i conti andranno fatti tutti assieme.

 

4)Anche se in modalità diverse fra di loro, siamo ormai abituati a vedere nelle feste indipendenti di autoproduzioni tutta una serie di eventi che circondano e valorizzano l’area espositiva vera e propria: come vengono scelti questi eventi e che rapporto hanno con il “cuore” della manifestazione?

 

Mattia: I dibattiti, i live painting, le presentazioni di fumetti e così via, nascono dalle proposte che ci vengono fatte e dalla volontà di dare spazio a novità emergenti ed esperienze interessanti. La maggioranza delle volte chi è protagonista delle iniziative pomeridiane, sia questi un autore, un collettivo o un progetto di microeditoria, ha anche il proprio spazio espositivo dentro la mostra mercato. Quindi il rapporto tra eventi ed esposizione è strettissimo e l’atmosfera è la medesima.

Quest’anno, più degli altri, le presentazioni hanno seguito il tema scelto per l’edizione: “Tuttinstabili”, la precarietà della vita e del lavoro. Un buon esempio di eventi tematici paralleli alla mostra-mercato e della varietà delle forme espressive che questi propongono è la presentazione “Vite precarie disegnate”. Anche in questo caso tutti gli autori sono stati espositori del festival, in questa edizione e/o nelle precedenti. Abbiamo presentato tre produzioni, una fanzine, un reportage grafico e un fumetto. La prima produzione è SUBTER-BORDA!Zine n°4, la fanzine di cui abbiamo parlato in precedenza: racconti di precarietà a fumetti, dal cameriere al disegnatore passando per il rider, e cronache grafiche di realtà alternative a questo mondo instabile, come il progetto lucchese della Calcistica Popolare Trebesto. La seconda è “Il litorale degli schiavi”, storia breve di graphic journalism sullo sfruttamento del lavoro stagionale in Versilia, elaborata per il progetto Stormi da Alessandro Benassi e Edoardo Comaschi in collaborazione con Elia Buffa della Casa Rossa Occupata. La terza, un vero e proprio libro a fumetti: I sopravvissuti, di Hurricane Ivan, edito da Eris Edizioni. Una raccolta delle avventure di Omino e Tacchino, coinquilini disoccupati in lotta per la propria esistenza.

Dall’anno scorso, inoltre, stiamo provando a fare delle mostre BORDA!Off, fuori dal baluardo. È bello che attività della città fuori dal baluardo decidano di collaborare con il festival! Ringraziamo chi ci ha dato ospitalità per il secondo anno consecutivo e rinnoviamo la proposta per il prossimo anno.

 

 

5)Il network DIY in Italia: a che punto siamo e dove potremmo andare?

 

Federico: Il network dei festival indipendenti è sicuramente in crescita, quest’anno ne abbiamo visto nascere uno nuovo, Zapp! (Zona AutoProduzioni Pescara) e speriamo che ne nascano sempre di più. Purtroppo ogni festival del nostro giro vive una situazione di instabilità, esattamente come il Borda!Fest, tutti combattono ogni anno con problemi dovuti ai soldi, allo spazio, ai rapporti con le istituzioni. Nonostante le difficoltà, questo mondo rimane in grande fermento, cresce l’interesse verso il mondo delle fanzine autoprodotte e del fumetto più in generale. Il sodalizio tra i vari festival della rete possiamo dire che non è ancora riuscito a manifestarsi nella pratica, per ora siamo ad un momento in cui si costruiscono delle fedeli amicizie tra i vari individui che organizzano i festival e tra chi vi partecipa. Alcuni sono arrivati da poco, altri ci sono da tanto tempo, ma nella maggior parte dei casi di parla di persone che si conoscono da 3/4/5 anni, quindi può essere pure normale che questa alleanza non abbia ancora prodotto qualcosa di veramente incisivo (che sia una pubblicazione, che sia il golpe dell’editoria, questo non si sa) a parte i festival stessi. Ci sono dei progetti in fase di realizzazione, per esempio i ragazzi Olé – Oltre L’Editoria stanno ultimando una fanzine che conterrà contributi provenienti da tutte le fiere della rete e credo che nei prossimi mesi continueremo a incontrarci tra di noi. Una cosa positiva che credo si stia mettendo in moto in questi tempi è come la forza congiunta della rete di festival stia riuscendo (in modo ancora parziale, se vuoi confuso ed eterogeneo) a ripoliticizzare l’ambiente dell’autoproduzione. Se negli anni 80/90 era scontato che se facevi le fanzine autoprodotte eri un compagno, adesso non è più così, quel mondo è uscito fuori dai centri sociali e com’è successo in tutti gli ambiti artistici e creativi, c’è stata una depoliticizzazione, si è formata una “classe”, non so se è giusto chiamarla così, di individui corrotti dalla concezione borghese dell’artista (il genio solitario che nella sua volontaria evasione dalla realtà crea la sua arte) a scapito di una visione collettiva del processo creativo e della diffusione dei saperi.

 

Mattia: Dove ci pare! E da nessuna parte. Siamo marginali e inarrestabili, in periferia e ovunque. A parte le parole in libertà credo che stiamo segnando un’età dell’underground nel campo visivo-grafico-fumettistico. Stiamo riuscendo, non senza difficoltà, a trasmettere ciò che per noi è una comunità controculturale e una ricerca espressiva d’alterità fuori dalle logiche del profitto. Dopodiché viviamo in tempi opposti ai mondi che siamo. Anche la stessa “autoproduzione”, nella sua accezione larga, cioè quella del “self-publishing”, non ha più dietro la cultura, la filosofia e la comunità del Do It Yourself. Ci muoviamo dentro questa contraddizione e cerchiamo di ri-costruire comunità e politica dentro la pratica dell’autoproduzione che, di per sé, non ne è automaticamente portatrice. Come detto giustamente in precedenza si tratta di esercitare una ri-politicizzazione dell’ambiente diy.

Andremo, quindi, dove ci porteranno le gambe delle singole organizzazioni territoriali dei festival, dei singoli individui che li animano e delle scelte collettive intraprese nelle grandi assemblee multi-festival. Siamo molto diversi, alcuni legati a collettivi di spazi politico-sociali, altri ad associazioni culturali, altri ancora a manipoli di disegnatori tra loro amici. In questo momento potremmo scioglierci tutti all’unisono o fare una super-collaborazione a settecento a mani! Insomma diciamo che un piano quinquennale non c’è ma c’è molta energia sotto al sole. Una collaborazione che va in questa direzione è la già citata prossima pubblicazione degli amici di Olè dell’XM24 di Bologna.

 

 

6)Il network DIY e la comunità di artisti, organizzatori e pubblico che ne rappresenta la linfa vitale potrebbero sembrare entità sovrapponibili, nonostante poi di fatto non sia necessariamente così. Che rapporto vedete fra queste due entità? Potrebbe ormai questa comunità esistere anche senza i festival? A giudicare dai nomi e dalle collaborazioni sembrerebbe quasi che ormai la comunità stia iniziando a camminare sulle sue gambe anche senza il network.

 

Federico: Sicuramente la grande crescita del numero di persone che si mette a fare fanzine e fumetti non è accompagnata da una proporzionata crescita di pubblico. Anche nel mondo dell’editoria la quantità di titoli che esce ogni anno è ingiustificata rispetto alla scarsità di lettori, certi fumetti acclamati dalla critica se poi vai a vedere vendono un numero di copie risibile. Oggi come oggi abbiamo un sacco di autori validissimi, un sacco di titoli interessanti (autoprodotti e non), ma bisogna ancora far capire alla gente quanto è bello questo mondo. Quindi ti direi con sicurezza che la comunità del diy non può esistere senza un network di festival che la sostenga. Probabilmente, se fossimo negli anni 80, molti di questi autori pubblicherebbero su riviste come Frigidaire, Il Male, Totem ecc, ma ora quelle riviste non ci sono più e le case editrici quasi sempre pagano poco e lavorano male. Di conseguenza i festival sono l’unico momento in cui gli autori hanno l’opportunità di mostrare al pubblico le loro produzioni. Se non esistessero i vari Borda!Fest, Crack e tutti gli altri, gli autori si ritroverebbero senza una piattaforma di relazioni e luoghi a sostenerli e sarebbero in un caso inglobati dallo sfruttamento dell’editoria oppure impossibilitati a diffondere le loro produzioni.

 

Mattia: Sì, le comunità degli autori e quelle dei festival sono abbastanza sovrapponibili ma, come detto, i festival rimangono spazi e tempi indispensabili. Se in questi anni le comunità si sono allargate è proprio grazie ai festival. Senza i festival si rischierebbe di avere tante cerchie di conoscenti, amici e colleghi che non collaborano tra loro se non per opportunità professionale. Invece con la comunità del festival e dei festival sempre più amicizie legate a medesimi obiettivi espressivi, sotto-strati politici e origini sociali e culturali nascono, crescono e producono bei progetti condivisi. Nonostante il pubblico sotterraneo rimanga minoritario, queste collaborazioni, molte delle quali nate durante gli stessi festival, riescono ad attirare l’attenzione di un più largo, misto e diverso pubblico rispetto a quello che il target dell’editoria indipendente tradizionale attrae.

 

7)A tal proposito, sono sempre di più gli autori che sembrano muoversi disinvoltamente fra la dimensione indipendente e quella non-indipendente, un entrare e uscire che talvolta sembra dover richiedere degli aggiustamenti a livello di contenuto e presentazione dei propri lavori. Hai notato anche tu questo fenomeno? Cosa ne pensate?

 

Federico: Questo fenomeno esiste già da tanti anni, Zerocalcare, ospite del Borda!Fest nel 2014 e 2016, per esempio è un autore partito dall’autoproduzione che adesso si ritrova ad essere uno dei più letti in Italia, allo stesso modo ci sono tante persone che si alternano tra fumetto diy e lavori per case editrici. Sul discorso che mi dici di aggiustamento a livello di contenuto il discorso sarebbe lungo, dipende prima di tutto con chi si pubblica un libro: ci sono piccole realtà editoriali che lasciano molta libertà e che seguono molto gli autori, altre più grandi a cui invece interessa soltanto confezionare un prodotto vendibile. In linea di massima, il problema per chi fa autoproduzione quando si ritrova a lavorare per un editore, non credo sia un problema riguardante i contenuti. Le case editrici (per quanto riguarda il fumetto d’autore, per i titoli seriali è un altro discorso) non operano chissà quale censura sulle storie che i fumettisti propongono di raccontare, il problema lo vedo di più sulla questione della proprietà intellettuale dell’opera e sulle modalità di pagamento. Farsi pubblicare significa cedere a un editore la gran parte dei diritti (commerciali e non) che hai sulla tua opera, significa essere pagato con una percentuale sulle vendite irrisoria (tra l’8% e il 10% a copia) e significa, senza entrare troppo nel dettaglio dover chiedere il permesso per poter fare qualsiasi cosa con la tua opera, in parte o tutta. Praticamente tutto il contrario di ciò che prevede la filosofia diy, ora come ora la pubblicazione sembra che sia il solo modo possibile per dare una grande diffusione ai nostri lavori, nel futuro vedremo se riusciremo a cambiare qualcosa.

 

Mattia: Ha già detto molto Federico e un po’ penso di aver risposto quando hai chiesto del rapporto con il mondo di Lucca Comics. Io penso che gli aggiustamenti possano essere più legati a un adattamento alla comunicazione social tradizionale, un banner che venda il prodotto o a una videointervista che faccia comprendere a tutti cosa si va a proporre, quello sì. Un adattamento agli standard pubblicitari e comunicativi del mercato culturale dove si è entrati.

Per quanto riguarda i contenuti credo che chi dei nostri viaggia tra lo scambio underground e il mercato mainstream non si pone il problema di cambiarli. Molte delle produzioni degli ultimi anni portano con sé una radicalità e un’espressività combat che sono lette più nella metafora o nella storia nel suo complesso rispetto a invettive esplicite e direttamente legate a contenuti che potrebbero avere motivo di censura o smussamento. Quindi non ne hanno il bisogno. Semmai nella presentazione, come dicevi. Quello sì. Questo non rende meno problematico il processo di assorbimento che l’industria editoriale fa. Ma come dicevo è un problema complesso che non ha un’unica soluzione.

 

8)Negli ultimi anni si è parlato parecchio del ruolo di avanguardia che la comunità dei festival indipendenti sta incarnando. Non pensi sia corra il rischio che questa narrativa possa far apparire il circuito DIY come una sorta di stampella creativa, un vivaio dell’editoria più o meno mainstream? Cosa dovrebbe accadere affinché il circuito indipendente possa diventare invece un’alternativa sostenibile per tutte le parti coinvolte?

 

Federico: Il circuito diy purtroppo è già in parte un vivaio per l’editoria mainstream, ma questa non è una cosa allarmante, funziona così da sempre in tutti i campi dell’espressione artistica, pure nella musica è così. Noi facciamo cose sincere dettate dall’urgenza di raccontare, loro ce le prendono, le trasformano in bei prodotti e poi ci lasciano le briciole. Quello del fumetto italiano è un caso molto particolare perché quasi tutti i maggiori autori odierni ha un passato (e/o un presente) da fanzinaro e autoproduttore di fumetti, le case editrici se ne sono accorte ed è da questo mondo che vanno a pescare. Ci sono persone che quando cominciano a lavorare con gli editori abbandonano il versante diy e rimangano bloccati nel sistema di sfruttamento che ti descrivevo nella risposta precedente. Di buono sta succedendo che ci sono realtà editoriali indipendenti che lavorano in modo diverso, tutelando e pagando gli autori in modo più equo. La soluzione è difficile trovarla, un sogno che ho io personalmente è che nel futuro riesca ad esistere una rivista indipendente che sia espressione della comunità del diy, ma bisognerebbe trovare i mezzi economici per metterla in piedi e per riuscire a darle una distribuzione nelle edicole e nelle fumetterie.

 

Mattia: Ahahah! Ok, quindi bisogna che si risponda proprio a quella complessità omessa sul finire della domanda precedente! Ok, ci proviamo. Molto ha già detto Federico ma provo a fare un quadro della questione. Io penso che esistano più livelli d’indipendenza e autonomia delle realtà alterculturali dal mercato ufficiale. Utopicamente si potrebbe pensare a intere reti completamente autonome e autosufficenti che producono, diffondono, scambiano e distribuiscono dentro le proprie tribù. Un autogoverno parallelo senza nessun contatto con l’esterno diverso dall’offensività del conflitto sociale. Se pensiamo all’humus dei Settanta o alle reti dei Csoa degli Ottanta-Novanta, il funzionamento era un po’ quello. Riviste, libri, dischi e così via. Il problema è il seguente. Nei Settanta quel tipo di massimalismo aveva senso perché si trattava di ambienti umani estesi che contavano migliaia di persone. Negli ottanta-novanta nuove controculture nascevano ma comunque quel sistema, con una tradizione precisa ma chiuso in se stesso, stava scricchiolando.

Riprodurre quella struttura oggi, anche volendo, sarebbe insensato perché risulteremmo come tribù che parlano a se stesse e a volte da sole. A ben vedere, venendo da quel percorso dei Novanta, Ottanta e Settanta suddetto, siamo già ciò che si è prodotto per inerzia procedendo con quel sistema.
Detto questo, dato che oggi non contiamo e non smuoviamo le migliaia di persone di un tempo, probabilmente non possiamo essere completamente e sanamente autonomi. Che fare per non farsi mangiare dall’industria editoriale mentre bruchiamo nelle nostre riserve, allora?

C’è stato un tempo in cui la controcultura, autonoma ma permeante nella società, riusciva a uscire da piazze, sedi e circoli del “proletariato giovanile” e finire in edicola (i titoli citati da Federico qualche domanda fa ne sono un esempio). Come già scritto, una soluzione potrebbe essere quella: fare una bella rivista collettiva tentando la distribuzione nazionale. Insomma, fare noi quello che per ora fa il mercato, cioè offrire a chi è emergente uno spazio oltre l’autoproduzione individuale o del proprio collettivo. Una rivista e magari un progetto editoriale. Il problema che si pone, lo scoglio che c’è tra il dire e il fare, è la grana. Per fare queste cose servono i soldi! E non ne abbiamo, se non quelli delle tribù che si autofinanziano, appunto. E servono alla vita dei nostri festival. Quindi la soluzione semplice al problema complesso non c’è. Quello che possiamo dire è che sentieri simili a quelli descritti si stanno provando a tracciare da varie realtà dentro al network. Una di queste è Progetto Stigma, un collettivo di ricerca artistica composto da molti autori, trainato da Akab, che autogestisce una casa editrice. Stigma fa libri amalgamando gli stili, pagando di più gli autori di qualsiasi altro piccolo editore e inoltre riesce a distribuire i volumi in libreria, grazie a un accordo con la Eris Edizioni, altra casa editrice di libri e fumetti indipendente. Insomma, all’oggi non c’è una via condivisa per uscire dal fenomeno di raduni nei templi dell’avanguardia visitati dai mercanti, ma si può dire che la discussione c’è, ed è viva così come lo sono i percorsi che provano a creare alternativa combattiva a questo sintomo comune.

 

 

9)Un’ultima domanda. Il Borda!Fest a cinque anni dalla prima edizione continua a essere uno spazio-tempo pieno di bellezza, di libertà e socialità non mercificata in una Lucca dove invece si ha spesso la sensazione di affogare nella noia e nella routine. C’è qualche suggerimento o riflessione che vi sentite di dare a chi si chiedesse come far vivere questo spirito anche durante il resto dell’anno, portando le sue potenzialità conflittuali al di là dell’evento?

 

Federico: Intanto dobbiamo renderci tutti conto di cos’è il Borda!Fest e cosa di può pretendere da esso. Il Borda!Fest è un festival culturale indipendente con un approccio polito e militante, la sua funzione è quindi di far passare contenuti e idee attraverso forme che siano anch’esse indipendenti e militanti. La focalizzazione in questo momento deve rimanere sui giorni del festival, su come renderli più belli possibili e soprattutto vivibili per chi ogni anno investe tempo ed energie gratuitamente per renderlo possibile. Abbiamo ancora un sacco di falle organizzative da riparare e per migliorare dobbiamo metterci a pensare al festival con qualche mese di anticipo in più ogni anno. Quindi, per ora, non saprei dirti di preciso cosa fare e cosa faremo.  Chi volesse godere del clima di libertà e condivisione che si respira al Borda potrebbe farsi un giro negli altri festival, anche per rendersi conto di persona cos’è davvero la comunità del diy.  A livello di potenzialità conflittuali, come dicevi te, credo il Borda!Fest le abbia, ma più sul piano culturale che su quello reale, forse è troppo pretendere che un bel giorno LC&G smetta di sfruttare la città di Lucca grazie al nostro festival, quel tipo di conflittualità deve arrivare da altre realtà, magari scaturite dal Borda, magari sotto forma di collettivo politico che agisca in città tutto l’anno per lottare in tutti gli ambiti sociali ed economici che vengono toccati dalla presenza del maxi evento LC&G.

 

Mattia: Concordo con Federico sui ruoli che il festival riveste e sulle occasioni che possono implementare lo spirito del Borda. Inoltre penso che, senza stare a fare i tutorial del bel festival controculturale e di come poterlo estendere all’anno intero, si può dire una cosa banale ma vera. Un buon modo per affrontare la costruzione e la prosecuzione di un evento del genere sia non prendersi troppo sul serio e allo stesso tempo avere chiarissime le proprie radici e i propri obiettivi. Collegare la vena giocosa e spontanea all’organizzazione della pratica di una possibilità altra rispetto a questo mondo, cioè di una pratica rivoluzionaria. Nel sondare strade nuove come nell’approfondire e migliorare quelle vecchie. Tutto questo sapendo che la bellezza, la libertà e la socialità devono essere le nostre, l‘armonia di quello che si è e si fa, portate poi a espositori, musicisti e visitatori.

Le radici, in basso, nella gente che deve lavorare per campare e che fa fumetti/musica/racconti col cuore impregnato di realtà e sogni incastrati nel nostro presente. Gli obiettivi, in alto, nel portare tutto quello che c’è su, in basso per tutti, e portare tutto quello che c’è giù, in alto, a corsa in mezzo ai giganti dei supermercati dell’intrattenimento. Il conflitto c’è nel momento stesso in cui gli stessi ragazzi che controllano i biglietti ai tendoni dei “Comics”, per assicurarsi quei quattro euro l’ora, non vedono l’ora di passare a curiosare, discutere, bere e aiutare al festival piccolo, quello fatto da gente come loro. Il conflitto c’è nei sorrisi complici di chi tiene sul proprio stand ufficiale in Piazza Napoleone le copie di Subter-BORDA!Zine e, a chi chiede di che si tratta, racconta dei mondi che ci sono dentro il festival piccolo.

Tendendosi fuori dal baluardo, imponendosi alla vista delle folle in perenne coda, sottolineare e cercare di rendere sempre più chiara e diffusa la differenza tra il festival piccolo e il festival grande.  Illuminare il valore aggiunto che il piccolo grande festival porta con sé. Comunità, cooperazione e uguaglianza. Gioco e serietà, impulsività e struttura. Se si riuscirà a far apparire il “clima borda” anche in altre stagioni dell’anno oltre che all’immancabile fine ottobre-inizio novembre, sarà mantenendo quest’attitudine.

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