Decreto sicurezza bis: ancora repressione su migranti, lavoratori, poveri e oppositori politici
Siamo al 19 Maggio a Firenze, in Piazza della Repubblica. Matteo Salvini sta tenendo il suo comizio, intorno lo assediano più di cinquemila manifestanti, caricati a freddo dalla polizia mentre un tronfio Salvini annuncia dal palco di non sentirsi impensierito dal dissenso, “tanto con il decreto bis sulla sicurezza li faccio arrestare tutti”. Salvini ha dichiarato guerra ai suoi nemici politici che lo rincorrono di piazza in piazza.
A ormai sei mesi dall’entrata in vigore dell’infame Decreto Sicurezza il “governo del cambiamento”, tramite il suo Ministro della polizia Salvini decide di rilanciare, o meglio di fare il bis. Viene quindi scritto un nuovo testo, volto a punire ancora più duramente il dissenso e limitare le possibilità di riscatto per chi si trova dalla parte sbagliata di quel coltello che chiamiamo capitale. A poche settimane dal suo concepimento il decreto, dopo un timido veto della compagine grillina e del diafano presidente Conte che ha causato delle poco incisive sforbiciate, è approvato dal Consiglio dei Ministri ed è pronto ad essere approvato da Camera e Senato. Il testo si divide in tre parti, particolarmente pesanti le prime due, ovvero quelle che riguardano gli sbarchi e le questioni di ordine pubblico.
In particolare, per quanto riguarda il soccorso in mare dei migranti – dicitura peraltro scomparsa nella nuova versione del decreto, quasi a voler dissimularne il vero scopo -, per chi non si attiene alle prescrizioni in materia di diritto internazionale di navigazione del braccio di mare in cui esso avviene, si prospettano sanzioni pecuniarie di migliaia di euro e addirittura il sequestro dell’imbarcazione e la revoca della licenza di navigazione. Peccato che la legge intima di far sbarcare i migranti appena salvati nel porto sicuro più vicino, che è in molti casi un porto della stessa Libia dai cui orrori cercavano di sfuggire: pare pazzesco che le coste di un paese dilaniato dalla guerra civile siano considerate sicure da Viminale e UE ma d’altronde come il predecessore PD Minniti ci insegna, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Se ciò non bastasse il Ministro dell’Interno, dopo essersi consultato con il ministro della Difesa, con quello delle Infrastrutture e dei Trasporti e col Presidente del Consiglio, avrebbe il potere di bloccare la navigazione di una qualsiasi nave nelle acque internazionali per motivi di ordine pubblico, dando in pratica allo stesso Salvini il potere quasi incontrastato di decidere il destino di decine o centinaia di profughi, molto probabilmente per meri calcoli di consenso, come già accaduto per la vicenda Sea Watch.
Per i fortunati (si fa per dire, vista l’ “accoglienza” che li aspetta) che riescono ad arrivare nel nostro paese aumentano i tempi di attesa per i rimpatri e quindi anche quelli di carcerazione preventiva, così come aumentano pure le motivazioni per procedere alla revoca del diritto di rimanere in Italia: tra queste, spicca il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La misura ha evidentemente come scopo quello di rendere più difficile per il migrante subalterno, doppiamente sfruttato e ricattato sul lavoro, alzare il capo e organizzarsi con i colleghi in scioperi o picchetti, visto che subire la violenza della polizia in questi contesti è questione di quando, non di se. Tenendo a mente poi che le più recenti lotte operaie in Italia – ad esempio il ciclo di lotte nel settore della logistica – hanno molto spesso come motore trainante proprio lavoratori migranti, che hanno meno da perdere e quindi più motivazione alla lotta, solo uno sciocco non capirebbe il vero fine di questa misura. Per rigirare il coltello nella piaga, mentre numerosi lavoratori del settore dell’accoglienza stanno in questi mesi subendo migliaia di licenziamenti, il governo stanzia un milione di euro all’anno per le operazioni sotto copertura delle forze dell’ordine, atte a scovare i migranti clandestini e coloro che li aiutano.
Sempre riguardo le lotte per il lavoro e per il diritto all’abitare, si passa dal civile al penale per quanto riguarda il reato di blocco stradale; viene inoltre potenziato lo strumento del Daspo urbano, che ora comprenderà tra le zone off limits anche gli ospedali, e viene ampliata sia la durata che il margine di applicabilità del Daspo per gli eventi sportivi. Aumenta anche la pena detentiva per le occupazioni abitative, arrivando a ben quattro anni (i palazzinari ringraziano!), mentre le pene pecuniarie decuplicano.
Pene analoghe anche per occupazioni di fabbriche, scuole, terreni agricoli e persino parcheggi; in più le questure si potranno avvalere per le indagini su questo tipo di reato anche delle intercettazioni telefoniche, quasi come se chi decide di occupare una palazzina abbandonata perché ridotto alla fame da un lavoro che non c’è o che paga male e strangolato da affitti gonfiati fosse pericoloso quanto un Pablo Escobar. E riguardo ai Pablo Escobar di casa nostra è ironica la decisione di Salvini, autoproclamatosi spauracchio dei clan Casalesi e Corleonesi, di rendere accessibili ai privati le aste dei beni sequestrati alle mafie, invece di destinare ad uso pubblico e a progetti di utilità sociale questi beni. Di primo acchito la cosa potrebbe sfuggire, pensandoci bene però questo permetterebbe alle vittime dei sequestri di riprendersi tutto quello che è loro tramite intermediari. Sicuramente i boss sapranno ricambiare il favore alle urne.
Per finire, sono previste pene fino a quattro anni per offesa a pubblico ufficiale (nel testo originale addirittura non si prevedeva nemmeno la non punibilità per eventuale tenuità del fatto); fortunatamente cade rispetto alla prima versione del decreto la possibilità di subire una pena detentiva fino a tre anni per chi ostacoli l’attività dei pubblici ufficiali durante le manifestazioni (quindi per chi, traducendo in parole povere, cerca di difendersi come può dalle violente cariche dei celerini con scudi o materiali imbrattanti).
Ci possiamo quindi accorgere che tutte queste misure sono state pensate per fiaccare e spaventare, con l’arma del terrore poliziesco, quelle lotte sociali che nonostante tutto continuano a resistere e a volte riescono anche a strappare risultati. Il decreto sicurezza bis si configura come un vero e proprio colpo basso con cui il governo gialloverde prova a domare tutti quei pezzi di società che non si fanno imbambolare dalle sirene del “cambiamento”, dalla facile e ignobile soluzione di prendersela sempre con chi sta in basso, puntando a togliergli la voglia e gli strumenti per ribellarsi a questo Stato e a questo sistema economico infame.
Dal canto nostro, pur nella consapevolezza di rapporti di forza che non ci sono affatto favorevoli, pensiamo quindi che sia necessario attivarsi nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, per denunciare e contrastare la portata liberticida di questo decreto. Inutile sperare in alcuna forza politica che faccia opposizione al posto nostro: certo non il PD, che col suo governo ha gettato le basi di quello che stiamo subendo oggi anche in materia di repressione e che nei fatti si trova in completa sintonia con la barbarie leghista, né tanto meno i Cinque Stelle, troppo confusi e succubi dell’alleato padano per arginare il suo operato. Solo la tenacia e la disponibilità a continuare a lottare, non in maniera autoreferenziale ma agganciata a delle contraddizioni sociali vere, ci permetterà oggi di resistere e successivamente di tornare all’attacco.
La situazione economica e politica, tanto italiana che internazionale, è ben lontana dal dirsi stabile e pacificata, anzi. Salvini e la sua compagine ne sono ben consci, per questo predispongono le contromisure preventive per quando anche nel nostro paese dovesse ripresentarsi un grosso movimento sociale di tipo nuovo – qualcosa della portata dei gilet gialli francesi, per intenderci -. Pensiamo a tenerci pronti pure noi dunque.