Sulla sconfitta di Riace. Oltre il silenzio e gli slogan, per un’analisi che ancora ci manca

Prima o poi, nel passare al setaccio le ragioni del fallimento della sinistra e la sua progressiva scomparsa dalla società (la questione, sia pure in termini parzialmente diversi, crediamo riguardi anche una buona parte di quel mondo che, con ambizioni rivoluzionarie, si pone fuori e contro il perimetro della sinistra), bisognerà cominciare a porre come problema cruciale e niente affatto secondario l’atrofizzazione della capacità di analisi, l’arrugginimento dei nostri strumenti critici, la polvere che sempre più si posa sulle nostre lenti. è paradossale che proprio quella parte politica che vive una specie di senso di accerchiamento da parte di un “popolo” percepito come inguaribilmente becero, ignorante, affetto da analfabetismo funzionale, perseveri in atteggiamenti che danno solo prova del perché, da anni e anni, finiamo col “rimanere indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi”.

Prendiamo ad esempio il caso di Riace. Negli ultimi anni questo piccolo comune di 2300 abitanti, precedentemente noto al grande pubblico per il famoso ritrovamento (1972) di due antiche statue greche, pareva essere diventato la nuova Stalingrado d’Italia. Mimmo Lucano, sindaco della cittadina dal 2004 e promotore di alcune scelte politiche indubbiamente meritevoli, coraggiose e a loro modo efficaci, stava già diventando nell’immaginario comune – manco a dirlo, lo sapete già – un possibile nuovo leader della sinistra.

Alle elezioni dello scorso maggio – in un contesto, va detto pesantemente condizionato da vari fattori; ci torneremo tra poco – il centro-destra vince a Riace, ottenendo con 462 voti la maggioranza relativa sulle altre due liste civiche,  una facente capo all’ex vicesindaco, ora sostenuto anche da Forza Italia, l’altra capitanata da un’ex assessora della giunta Lucano, candidatosi stavolta come consigliere. Per appena un voto di differenza (321 a 320), quest’ultima si classifica al terzo posto, determinando l’esclusione di Lucano dal consiglio comunale.  In parallelo, si tengono le elezioni europee, che vedono la Lega, sempre a Riace, schizzare al 30 %. La Sinistra, ovvero la lista per cui Lucano aveva espresso il proprio sostegno, si attesta su un misero 2,2 % (appena 21 voti) .

Dopo la batosta, a sinistra, molti che prima avevano espresso sostegno e vicinanza a Lucano e alla sua esperienza fino a farne addirittura un modello vincente per un possibile rilancio per la sinistra, sono rientrati in un imbarazzato e opportunistico silenzio. Altri invece, altrettanto opportunisticamente, si sono lanciati in attacchi al modello Riace che nei toni e nei contenuti travalicano la legittimità della critica.

In tutto ciò il problema non è certo la figura di Mimmo Lucano, verso il quale – lo diciamo a chiare lettere –  non si può che nutrire ammirazione, solidarietà e rispetto (per conoscere meglio la storia,  l’operato e il profilo politico di Lucano, rimandiamo a questa intervista), ma è l’abitudine che sempre più sta prendendo piede di aggrapparsi a mitografie che sostituiscano un’analisi più complessa del reale, l’ansia di trovare modelli che non possono evidentemente essere, a uno sguardo minimamente attento, generalizzabili. Così come, non meno deleteria, è la tendenza a buttar via frettolosamente quanto di buono ci può essere in questi modelli, solo perché se ne era sopravvalutata la portata e l’efficacia.

Intendiamoci, posto che è acclamato dalle stesse inchieste della magistratura che Mimmo Lucano non ha intascato un solo euro dalle scelte da lui adottate nell’utilizzo dei fondi, e senza dover considerare per forza questo Comune un’immaginifica oasi di umanità priva di conflitti, è evidente a qualsiasi osservatore intellettualmente onesto che Riace ha costituito un modello di amministrazione e di rigenerazione di un tessuto urbano dismesso sicuramente migliore e innovativo (per un approfondimento rimandiamo a questo articolo) della solita accoppiata turismo aggressivo & cementificazione che si tenta di ripetere in ogni territorio economicamente appetibile. Modello i cui meriti, ancora una volta, sono riconosciuti finanche dalla stessa magistratura inquirente, pur a fronte di omissioni e inadempienze in termini di rendicontazione sull’uso dei fondi. Perché allora – è d’obbligo chiedersi – i riacesi hanno revocato la fiducia a Lucano?

A questa domanda, solo un’inchiesta sul campo quanto mai necessaria potrà dare delle vere risposte. Occorre però, prima, provare ad articolare le domande giuste, oltre che evidenziare i limiti e le fallacie delle risposte date finora.

Alcuni infatti sostengono che le politiche di Lucano hanno perso perché sono state criminalizzate e represse sia a livello giudiziario che politico-culturale; che il blocco dei fondi e dei finanziamenti al sistema Sprar (oltre 2 milioni di euro per gli anni 2017-18) su cui si basava la piccola economia del comune ha determinato una situazione di dissesto che ha evidentemente pesato sul voto; che di fronte alla potenza di fuoco mediatica dei suoi oppositori, e senza la possibilità di mettere piede a Riace per rispondere alle loro calunnie, chiunque, non solo Lucano, avrebbe perso; che (a quanto sembra) sull’ultimo voto ha pesato in negativo la polarizzazione elettorale tra il borgo vero e proprio di Riace e la frazione di Riace Marina, meno toccata dagli effetti del modello di integrazione costruito negli anni dalle amministrazioni di Lucano.

C’è probabilmente un elemento di verità in tutti questi tentativi di spiegazione. Ci sembra però che non facciano i conti con un dato di realtà abbastanza grosso e inaggirabile: anche il principale nemico di Lucano e del modello Riace, ovvero Matteo Salvini, è finito sotto processo nell’ultimo anno, ha subito attacchi e contestazioni su più fronti presentandosi come una vittima, come quello solo contro tutti. Mentre quest’ultimo è riuscito ad aumentare a dismisura i propri consensi, Mimmo Lucano non ha beneficiato, in loco, di una solidarietà che ci si aspettava si compattasse attorno alla sua figura e al modello a cui aveva dato vita. Fatto che colpisce ancor di più se pensiamo che solo pochi giorni prima delle elezioni del 27 maggio, il Tar della Calabria aveva accolto favorevolmente il ricorso del Comune di Riace contro l’esclusione dal sistema Sprar, che il comune aveva dovuto subire su decisione del Ministero degli Interni. Una decisione illegittima e contraddittoria secondo i giudici, un vero e proprio attacco politico insomma. Eppure, questa notizia non ha determinato nelle urne alcun esito rilevante a favore di Lucano.

Ci sembra allora che il caso di Riace ponga già da ora degli interrogativi politici ben più ampi e decisivi ancora senza risposta, perché spesso non arriviamo neppure a formularli. Proviamo a metterne in fila, pur nella loro parzialità, almeno un paio.

 

1)Finché votano solo gli “italiani”*, è possibile un voto antirazzista?

Quale sarebbe stato l’esito del voto a Riace, se avessero potuto votare anche i profughi, richiedenti asilo  (la cui voce ed espressione diretta – sia detto tra le righe – non è che sia stata troppo cercata neppure a sinistra) che hanno potuto beneficiare del sistema di accoglienza costruito dalle giunte di Lucano? Il modello Riace si basa infatti sulla forzatura dei limiti temporali dell’accoglienza garantita dal sistema Sprar (6 mesi), tempo con ogni evidenza del tutto insufficiente a costruire percorsi di integrazione e fornire gli strumenti culturali e linguistici che possono garantire ai profughi e ai richiedenti asilo la capacità di ricercare autonomamente un lavoro che non sia lo schiavismo nel settore agricolo e una residenza che non sia quella dei ghetti.

Nell’ottobre del 2018, quando il Viminale ha disposto la chiusura dell’intero sistema Sprar di Riace, è probabile che molti dei migranti deportati fossero coinvolti nei progetti di integrazione già da alcuni anni. Cioè, detta in altri termini, è stata deportata una parte della popolazione reale, della comunità reale di Riace. Una parte che però non avrebbe avuto diritto di voto, anche nel caso in cui nessuna tempesta politico-giudiziaria si fosse abbattuta nell’ultimo anno sul piccolo comune della locride. Che questo dato di fatto non venga messo in discussione se non in maniera sporadica e poco determinata, è sintomo di una contraddizione di fondo a sinistra ancora poco esplorata.

Infatti, nell’analisi dei risultati elettorali, che ultimamente vedono a ogni tornata un continuo spostamento a destra, malgrado i continui proclami di antirazzismo a sinistra non si mette quasi mai in discussione il fatto che i migranti sprovvisti di cittadinanza non possano votare. Non si mette in discussione, cioè, il fatto che ormai un 10 % circa della popolazione residente in questo paese non abbia alcun diritto (sia pure dentro il perimetro della democrazia liberale che con tutta evidenza non ci entusiasma, per usare un eufemismo) a far pesare  le proprie volontà e i propri interessi nel momento del voto. Né a livello politico né amministrativo.

Chi, su posizioni antirazziste, continua a considerare cruciale o comunque importante il terreno elettorale anche solo come strumento, o invece addirittura crede che esistano ancora margini di cambiamento reali dentro il sistema istituzionale vigente, crediamo debba fare i conti con questa questione: o si pone come elemento programmatico centrale e qualificante l’estensione del diritto di voto anche ai migranti che ne facciano liberamente richiesta in virtù del soggiorno di una certa durata sul nostro territorio (al di là di ogni categorizzazione divisiva in profugo, migrante economico, richiedente asilo ecc.), oppure è davvero difficile che l’antirazzismo possa porsi come elemento vincente di un qualunque programma elettorale. Di più, non è un antirazzismo ricompositivo, perché è un antirazzismo che non mette minimamente in discussione l’asimmetria di potere tra gli italiani che godono dei diritti politici e i soggetti vittime delle politiche razziste ed esclusi dal meccanismo della rappresentanza. Il caso di Riace insegna forse questo? Sarebbe interessante domandarlo sia ai riacesi che ai migranti che hanno soggiornato a nel Comune in questi anni.

*Le virgolette sono in questo caso da moltiplicare: siamo ben consapevoli che esistono già da tempo italiani di pelle scura, “migranti” di seconda generazione che sono nati qui in Italia e non conoscono altra lingua o altro paese che questo ecc. ecc. Si prende qui per buona, molto alla grossa, l’idea di “identità italiana” su basi razziste, xenofobe e neocoloniali che le destra stanno politicamente e culturalmente ricostruendo, e che si manifesta, con linguaggi diversi, anche in parti consistenti dell’elettorato moderato e di “sinistra”. Non crediamo nemmeno, per esser chiari, che a questa “identità italiana” si possa contrapporre una qualche altrettanto artificiosa “identità migrante”. Ma insomma, evitando approfondimenti e riflessioni che richiederebbero pagine e pagine, è sul nocciolo materialistico della disuguaglianza di diritti che ci interessa ragionare qui.

 

2)Se nemmeno le politiche di buone politiche di accoglienza sviluppano una mentalità antirazzista, che cosa può farlo allora?

Un altro elemento che va sottolineato, e che doveva essere ravvisato assai prima della recente sconfitta alle urne, sta nei limiti profondi in termini di riproducibilità di un modello come quello di Riace. C’è una bella differenza infatti tra la realtà di un piccolo paese e quella di una metropoli o anche solo di un capoluogo di provincia, fra un borgo in via di spopolamento e le periferie dove si riversano tutte le mancanze e gli aspetti negativi di uno sviluppo urbano che privilegia solo i centri cittadini sempre più gentrificati e a misura di turista. è in questi luoghi che si avverte maggiormente la competizione per il lavoro e per le poche risorse di welfare disponibili fra migranti e, in un progressivo senso di abbandono, marginalizzazione e crescita dell’insicurezza sociale, l’esplosione di tensioni e conflitti di tipo xenofobo.

Un’integrazione felice tra italiani e migranti è dunque possibile solo in territori marginali come Riace? La situazione è molto più complessa di così. Non solo perché, nonostante una situazione apparentemente favorevole sulla carta, il modello Riace è stato infine bocciato dagli elettori. Ma anche perché, stando a un’analisi meno superficiale e un po’ più articolata dei flussi elettorali degli ultimi anni vediamo che, in assoluto, le opzioni politiche populiste di tipo xenofobo (non solo in Italia, ma anche nella Gran Bretagna della Brexit e negli stati Uniti di Trump) sfondano di più proprio nelle province e nei territori marginali, mentre nelle grandi città ottengono consensi assai minori. Si potrebbe pensare che ciò derivi da una polarizzazione tra grandi città economicamente dinamiche e internazionalizzate e le zone periferiche economicamente più depresse e soggette a impoverimento. Uno sguardo agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna confermerebbe questa tesi, il caso italiano invece ne mostra tutta l’insufficienza: è proprio nei piccoli paesi e in territori provinciali del Centro-Nord, senza dubbio ancora floridi e pieni della ricchezza accumulata nei passati decenni, che la Lega raggiunge le percentuali più alte. Come hanno suggerito alcuni tentativi di analisi, si rende necessario introdurre una componente di tipo culturale. Non in termini di semplice “ignoranza”, ma di percezione della propria collocazione nella società a fronte di una perdita (materiale e/o simbolica) di status.

Ritornando al nostro caso specifico, un’inchiesta che volesse sondare il perché della sconfitta, dovrebbe indagare se e quanto lo spettro della famigerata “sostituzione etnica”, e di una agenda politica imperniata proprio sulla presenza e sul ruolo dei migranti come principale forza rigeneratrice dell’economia di un territorio, abbia pesato sul voto che ha determinato la sconfitta di Lucano. E, cosa altrettanto importante, se da parte di chi ha voltato le spalle al sindaco di Riace un giudizio di questo tipo convive comunque, pur sopravanzandolo, con un riconoscimento dei meriti e dei risultati delle sue politiche. Se cioè, detta in maniera più diretta, queste politiche vengono riconosciute come economicamente azzeccate e portatrici di un qualche miglioramento generale delle condizioni di vita, ma è proprio il progetto di integrazione con nuclei umani portatori di altre storie, culture e valori di appartenenza a non venire accettato.

Se così fosse – e la poniamo ancora solo come ipotesi – ciò sarebbe sintomo di un problema ben più grande, che riguarda l’antirazzismo tutto. Se anche un sistema di accoglienza innovativo e scevro da dinamiche di business come quello di Riace ha perso negli anni il consenso della popolazione locale, che cos’è allora che può generare e radicare un senso di comunità antirazzista e meticcia? Le lotte attorno a interessi comuni (che si riconoscono cioè comuni proprio grazie alla lotta stessa) come quelle per il diritto alla casa e sui posti di lavoro? Delle nuove politiche (abbastanza improbabili nella fase attuale) di welfare universalistico? Oppure c’è bisogno di un vero e proprio contro-choc di tipo culturale che colpisca “il cuore, le menti, le passioni e i riferimenti simbolici dei soggetti occidentali”? Domande gigantesche a cui non abbiamo una risposta da offrire, ma su cui avvertiamo la necessità di una ricerca politica collettiva al di là degli slogan che non funzionano più.

 

Su Riace e sul processo che vede coinvolti Mimmo Lucano e altri 26 imputati, iniziato l’11 giugno scorso a Locri in un clima di militarizzazione e col divieto di telecamere, come non si vede neppure in certi processi per ndrangheta, non deve cadere l’oblio. A fronte agli attacchi politici o alle vere e proprie minacce che ha subito e che continuerà a subire, non ci si può esimere dal continuare a manifestare solidarietà e vicinanza a Mimmo Lucano, Gli omicidi di alcuni politici europei che avevano adottato delle politiche di accoglienza a favore dei migranti  (come il sindaco di Danzica Pawel Adamowicz o il politico della CDU Walter Luebcke) ad opera di alcuni estremisti di destra, sono un eloquente monito che ci impone di non abbassare la guardia. Ma oltre alla doverosa solidarietà, crediamo che sia necessario rimettere in piedi uno sforzo di analisi sulla questione del razzismo e sui limiti dei vari antirazzismi che oggi senza successo tentano di contrapporvisi. Altrimenti, prepariamoci pure alla prossima sconfitta da cui continueremo a non imparare niente.

Lascia un commento

commenti

Shares