Il fumo negli occhi della green economy
Per Venerdì 27 Settembre è stato indetto uno sciopero per il clima. I movimenti di protesta nati dalle azioni della svedese Greta Thunberg nell’ultimo anno, continuano la strada dello sciopero per prevenire il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. L’idea è di mettere alle strette i governanti mondiali al fine di ottenere l’azzeramento delle emissioni nette entro termini, stando agli studi cui fanno riferimento, oltre i quali il processo di cambiamento climatico risulterebbe irreversibile. Anche a Lucca, Fridays For Future ed Earth Strike guideranno il corteo cittadino, che si preavvisa molto partecipato e determinato. Supportiamo la causa degli organizzatori e, dal momento che ci siamo sempre interessati alle questioni climatiche ed ambientali, vogliamo dire anche la nostra. In questo scenario sentiamo la necessità di ribadire che senza un cambiamento radicale del sistema economico e sociale non si può arrivare a un netto miglioramento delle condizioni ambientali e climatiche. Pensiamo che la radice di queste proteste sia più che valida e ci auguriamo che queste mobilitazioni riescano ad essere sempre più incisive e dirompenti. Tutto questo, però, non può essere declinato con richieste ai potenti della Terra. Loro ne sono stati e ne sono tuttora la causa. Lo strumento che stanno usando al momento per perpetuare lo sfruttamento di tutte le risorse, con le conseguenze climatiche ed ambientali che cominciamo a conoscere tutti e tutte, si chiama Green Economy. Questa altro non è che la nuova frontiera dell’economia, che vuole e riesce a far profitto su tutto ma che si mostra e si propone come soluzione al problema ecologico.
A poco più di sei mesi dall’ultimo sciopero per il clima, torniamo ad assistere a un’altra grande mobilitazione nazionale e internazionale per sollecitare i governi ad un’azione immediata per la salvaguardia del clima e dell’ambiente. In più di 4500 città nel mondo, Venerdì 27 Settembre, centinaia di migliaia di persone, principalmente studenti e studentesse, scenderanno in piazza per scongiurare la crisi climatica. Come primo traguardo richiedono l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra entro il 2030. Più in generale, la protesta è indirizzata ai governanti mondiali, rei di essere poco attenti e menzogneri rispetto alla causa climatica e ambientale. Anche a Lucca si terrà il corteo, organizzato da Earth Strike Lucca e Fridays for Future Lucca. Stavolta le sigle sindacali che si uniscono all’indizione dello sciopero sono molteplici, tra cui Cobas, Flc Cgil, Sisa, e Usb. Ci auguriamo che questa partecipazione di sindacati del lavoro riesca a mettere l’accento sulla spinta che si deve dare a questa iniziativa, che deve proporsi come in grado di cambiare realmente lo stato di cose esistente. Al centro di questa serie di proteste ci deve essere la produzione sfrenata, e gli atti pratici per metterla a repentaglio dovranno essere incentrati sul sabotaggio della produzione stessa. Lo sciopero, come forma di interruzione della produzione, allude sicuramente in maniera positiva a questa necessità. D’altro canto, se è vero che alcune di queste sigle si sono sempre dimostrate attente anche alle questioni climatiche ed ambientali, altre decisamente meno (sconcertanti le posizioni della CGIL a favore del TAV), e ci paiono anzi in antitesi con le motivazioni addotte per l’adesione allo sciopero. Vedremo quindi se stanno solo cavalcando il momento di eccitazione collettiva o se invece cominceranno davvero a cambiare rotta.
Meno confortante è apprendere che il Ministro dell’Istruzione abbia dichiarato,in modo ambiguo, il sostegno a tutti quegli studenti che parteciperanno ai vari cortei. Di per sé potremmo essere sollevati, avere anche le istituzioni al fianco di una battaglia sembrerebbe positivo. In realtà le istituzioni stesse sono sulla lista nera dei manifestanti e pare un vecchio gioco politico in cui i rappresentanti dei palazzi del potere si schierano a favore delle masse per assorbire la protesta e governarla dall’alto. Staremo a vedere.
Vogliamo dire la nostra su questo argomento ormai di dominio pubblico.
Assistiamo, probabilmente oggi più che in passato, ad una vera e propria mania ecologista. Sia ben chiaro, di per sé non c’è niente di sbagliato nel tenere alta l’attenzione su queste faccende. Come si sente dire molto spesso, ne va della nostra salute e di quella delle generazioni future. L’argomento è delicato e sicuramente va preso sul serio e dobbiamo avere risposte immediate. Questo “noi” è necessario, nessuno può esimersi dal cambiare i propri comportamenti quotidiani.
Finora ci siamo limitati a scrivere solo ciò che parrebbe essere una sacrosanta verità. Oltretutto non si è fatto altro che sintetizzare la proposta che chiunque propina al giorno d’oggi, eccezion fatta per qualche ameno personaggio pubblico e per le chiacchiere da bar (alcuni bar). Anche gli stessi artefici del problema principale. Meglio dire chi, fino a poco tempo fa, non aveva nemmeno l’idea di modificare il proprio operato per evitare di aggravare il problema. È chiaro che costoro siano i grandi produttori di merce, dalle automobili ai mobili, passando per qualsiasi altro prodotto, compresa la produzione culturale. Già, proprio tutte le imprese, le fabbriche annesse e gli Stati sovrani di cui queste aziende battono bandiera. Tutti i passaggi, dall’estrazione dei materiali all’inscatolamento e alla distribuzione, per produrre beni di consumo, sono, anzi dovrebbero essere, al centro del mirino di chi vuole che l’ecologia sia al primo posto. Pare, però, che la lente del mirino sia sporca. Le automobili e tutti i veicoli a motore a combustione interna sembrano farla da padrone nel grigio e terribile mondo degli inquinatori. In questo pentolone dei cattivoni ci è entrato di tutto, compresi i saponi e gli sgrassatori. Non c’è che dire, apportare modifiche al prodotto finale per renderlo più digeribile dalla Terra non è un male, tutt’altro.
Continua tuttavia a serpeggiare un’idea contraria a tutto questo. Ci sono due cosette che non quadrano. Da un lato, la guerra agli inquinanti sembra essere fatta più contro l’utilizzo di un prodotto da parte del cittadino piuttosto che contro chi non attua alcun tipo di risoluzione che eviti, o limiti drasticamente, l’utilizzo di quel prodotto, pur avendone la responsabilità principale. Dall’altro lato non è molto credibile che la risoluzione sia affidata proprio ai produttori, gli stessi che hanno depauperato il pianeta sfruttando ogni risorsa possibile: umana, animale e materiale. Sì, proprio quelli che oggi hanno fattivamente modificato solo il proprio piano di marketing. Quelli che devono guadagnare, per cui hanno permeato ogni loro pubblicità con prefissi e parole come “bio”, “eco”, “impatto zero”, “naturale”, “green” e via dicendo.
Ecco, ci siamo arrivati, green. La Green Economy è la nuova frontiera dell’economia. Il “profitto sostenibile”. L’ossimoro nonché il paradosso più nebuloso che viviamo allo stato attuale.
Cerchiamo di analizzare sommariamente qualche fatto. Il sistema economico vigente si basa sull’accumulazione di capitale. Non ci occuperemo qui della questione finanziaria, ovvero della somministrazione di ormoni che viene perpetuata sui capitali per farli crescere senza un collegamento diretto con la realtà materiale di consumo. Ci occupiamo della produzione e di come essa debba funzionare, sulla carta e nei fatti. In un sistema capitalistico – come il nostro, troppi lo hanno dimenticato oppure non lo sanno proprio – il guadagno non può diminuire. È strutturale e intrinseco nel sistema stesso. O meglio, può diminuire, ma in tal caso chi dirige la baracca cercherà modi per limare le spese, con conseguenti licenziamenti, aiuti statali ed esternalizzazioni che consentono di sfruttare la manodopera a basso costo di altri paesi, dove il rispetto e la tutela di lavoratori e lavoratrici vengono definitivamente a mancare. Inoltre le grida di chi viene sfruttato non si sentono in patria, nella terra dell’amministratore delegato di turno, quindi vale il celeberrimo “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Allo stesso tempo, anche nei paesi più ricchi le tutele sul lavoro, sia dal punto di vista della salute sia delle condizioni di lavoro (salari e durata dei contratti), sono sempre più messe a repentaglio e stanno scendendo vertiginosamente sotto il livello di guardia. Per contro, aumentano la precarietà e il sostegno a idee e pratiche razziste, classiste e sessiste, partorite da chi vuole sfruttare il momento di crisi per instaurare la vecchia e collaudata lotta tra poveri. Fumo negli occhi lanciato dai servetti del potere, colorati di verde, nero, giallo e rosa sbiadito, affinché tutto rimanga entro i confini stabiliti., nonostante si autoproclamino “forze anti-sistema”.
Viene da sé chiedersi come sia possibile far collimare la necessità oggettiva di diminuire le emissioni e il danno ambientale generato dalla produzione industriale con il mantenimento del sistema di produzione attuale. La risposta più plausibile sarebbe di produrre meno, tremendamente meno. Diciamola tutta: smantellare questa società dei consumi e quindi la macchina capitalista, abolendo simultaneamente lo sfruttamento e il problema della sostenibilità energetica e ambientale. Non ci sono vere soluzioni alternative a questa. La sola diminuzione dei consumi e della produzione andrebbe in contraddizione con lo sviluppo economico che necessita di volumi di produzione via via crescenti. Su questo si basa il capitalismo e non è certo disposto a modificarsi, almeno non finché non troverà il modo di accrescere il profitto non seguendo più la strada dell’utilizzo dei combustibili fossili o di altre forme ad alto impatto ambientale.
Decrescere, in questo senso, non è una via praticabile per chi detiene i mezzi di produzione. Quindi non sarebbe mai e poi mai una scelta felice, soprattutto perché ne pagherebbero le spese coloro che già ora vivono sotto il giogo neoliberista (per chi si fosse sintonizzato solo ora su questi concetti, diciamo brevemente che è la forma di Capitalismo più nuova, più devastante, che non ha limiti particolari dettati da strette regolamentazioni statali).
È una bella gatta da pelare. Però, in realtà, possiamo stare tranquilli: ogni nuovo prodotto è ecosostenibile! Eh sì, perché ogni autovettura partorita da una mega fabbrica ha le emissioni di un aerosol, perché le auto elettriche sono sparate a velocità incredibili col solo movimento di elettroni in un circuito! Ora tutte le confezioni sono riciclabili. Pare proprio che si sia instaurato un loop autosostenibile. Problema risolto. Niente di meglio che questo. Ah no! Meglio rifletterci un attimo in più. Il riciclo è cosa buona, ma richiede anch’esso energia e processi possibilmente inquinanti. Dovremmo comunque calare drasticamente l’utilizzo di materiale che diventerà rifiuto. E poi, vanno alimentate quelle macchine. Bisogna pure produrle. Ogni singolo pezzo è fatto con materiali che si trovano nei punti più disparati della Terra, quindi vanno estratti, trasportati, lavorati. I combustibili fossili stessi seguono lo stesso iter. Ogni processo industriale richiede energia, i trasporti sono fatti su nave o in aereo, che non vanno ancora ad aria compressa. Effettivamente, però, ci sono le fonti rinnovabili. Che sospiro di sollievo. Le fabbriche sono tutte al passo coi tempi, l’utilizzo di energia derivante da fonte fossile è in calo, quindi tutto sembra andare nel verso giusto. Oh cazzo, no! Perché se è vero che percentualmente si è abbassato l’apporto di energia fossile, è vero anche che l’energia utilizzata annualmente è in aumento. Bisognerebbe pure vedere bene com’è regolamentato e gestito il settore delle rinnovabili, ma non apriamo qui questa parentesi.
Parliamo più chiaramente: non c’è nessuna tendenza alla diminuzione degli inquinanti e allo sfruttamento di tutte le risorse. Non ce ne è la volontà. L’unica trattrice di tutto è il profitto. Ci provano e ci riescono con l’invenzione più subdola che potessimo aspettarci. Questa Green Economy. Ci propinano sempre più prodotti, sempre più possibilità di acquistarli (vedi, solo a titolo di esempio, Amazon e compagnia bella). Farciscono ogni pubblicità e ogni confezione con slogan capziosi facendo leva sulla dilagante sensibilità all’ecologia. Il teatrino recita, in parte, così: “Compra, così gira l’economia”, “Consuma, meno di prima se ce la fai, ma continua a consumare” (possiamo anche provare a consumare meno di ogni prodotto, ma il numero di oggetti e di orpelli quotidiani aumenta di settimana in settimana), “Compra Bio, almeno noi continuiamo a produrre” (che poi sappiamo bene cosa ammetta il celeberrimo e paradisiaco Bio nel suo disciplinare?), “Compra questo prodotto sano e naturale, cambia tu le tue abitudini come noi abbiamo cambiato la nostra faccia”. Quindi da un lato dobbiamo far girare questa mediocre economia, dall’altro dovremmo credere alla sperequazione nuovo uguale a ecofriendly.
In tal modo riescono a indurre a comprare sempre più prodotti nuovi, molto spesso totalmente inutili, quindi a non far diminuire affatto l’impatto ambientale. La maggior parte delle nuove invenzioni, tradotta in piccoli o grandi oggetti, è solo uno specchio per le allodole. Si creano oggetti che vanno incontro alla risoluzione di problemi causati da altri prodotti immessi sul mercato precedentemente. La tendenza più comune, oramai, è la creazione di beni di uso comune che hanno un tempo programmato: se non si rompono entro breve (ormai gli apparecchi aggiustabili sono vintage), diventano comunque vecchi e da sostituire con gli ultimi e più sfavillanti modelli.
Come già discusso prima, la produzione in sé è inquinante. Qui non parliamo di essere indotti a sostituire un prodotto che inquina per il suo utilizzo con un altro che non lo fa, quest’ultimo emette soltanto un po’ di meno rispetto al “vecchio”. Parliamo anche dell’aggiunta di ulteriori sofisticazioni della vita quotidiana. Si creano condizioni per cui si trasforma in necessario ciò che non lo è affatto. E di quei prodotti ne avremo sempre di più in circolazione. L’esempio più lampante sono le automobili, per non parlare degli elettrodomestici e degli smartphone.
Un altro aspetto non trascurabile che segue dalla produzione sfrenata, oltre alla quantità di merce che è già calcolata come rifiuto prima della loro vendita (vedi le tonnellate di generi alimentari e di apparecchi elettrici buttate via ogni giorno in ogni centro di grande distribuzione), è la scarsa conoscenza delle nocività di alcuni materiali componenti e le difficoltà di conferimento e stoccaggio successivo. Questi due aspetti non sono valutati con estrema chiarezza al momento dell’omologazione, complice una legge inadeguata, atta solo a perpetuare il consumo. Apparentemente, l’unico accorgimento che la legge ha nei confronti di nuovi prodotti, è l’evitare che possano avvenire casi per cui una causa legale possa costare milioni alla casa produttrice e agli organi preposti alla sorveglianza dell’iter produttivo. Sia ben chiaro, per quanto una legge e un controllo migliore porterebbero dei vantaggi, non sono comunque nemmeno una parte della soluzione al problema.
Una parolina sulle auto elettriche, che ormai sembrano essere la manna dal cielo: è vero che l’oggetto in sé non inquina, ma va ricaricato. Tutta l’energia al chilometro di cui ha bisogno, circa la stessa necessaria a muovere un veicolo di dimensioni e prestazioni paragonabili, la prende dalla rete elettrica. Questa è prodotta da centrali di vario tipo, tra cui anche quelle termoelettriche, che fanno ovviamente largo uso di idrocarburi. Inoltre le batterie studiate per queste vetture vanno sostituite o comunque buttate prima o poi, e il loro stoccaggio si sta rivelando un problema non da poco.
A chiudere il quadro, di per sé inquietante, vogliamo mettere l’accento su un’altra questione che ci è cara da decenni. La devastazione di territori in nome del profitto di pochi. Da anni assistiamo alla poderosa spinta per la costruzione di grandi opere, una su tutte la linea ferroviaria per Treni ad Alta Velocità, il TAV. Sono ormai trent’anni che la popolazione della Val di Susa, seguita da una grandissima parte della popolazione nazionale, si batte tenacemente contro questo progetto inutile per chiunque, tranne che per chi la vuole costruire. Questo mega progetto avrebbe un impatto ambientale enorme e metterebbe in serio pericolo tutta la popolazione limitrofa e non, oltre che tutto l’ecosistema della zona. Nonostante la comprovata inutilità e la strenua resistenza della popolazione, si continua a portarla avanti, militarizzando i cantieri, operando repressione nei confronti di chiunque si batta per la sua definitiva archiviazione. Il tutto per permettere, a detta dei sostenitori, un migliore e più intenso scambio di merci. Qui vediamo molto meglio il vero volto dello stato e del capitale; chi prova a battersi per migliorare il presente, andando quindi contro a progetti del genere, subisce la repressione più dura, che passa dalle manganellate dei “tutori dell’ordine”, dalle intimidazioni quotidiane e dalla galera.
Le conseguenze sono già catastrofiche da secoli. Se non si cambiano le fondamenta, la produzione non può diminuire, i consumi nemmeno. Le conseguenze le stiamo vedendo e questa presa di coscienza sulla questione climatica ed ambientale, più o meno motivata, vogliamo che funga da trampolino per abbattere il vero problema. In questo scenario, proprio la presa di coscienza e di posizione sono l’unico modo che abbiamo per riprenderci davvero il nostro futuro. Continuare a pensare di chiedere briciole e soluzioni ai governanti è l’utopia peggiore della Storia. L’energia e il fiato che sprechiamo nell’elemosinare qualcosa da coloro che tutto ci hanno tolto, va reindirizzata verso un percorso collettivo più incisivo. Il problema non è il singolo produttore, ma la struttura democratica e il sistema capitalistico. Il nucleo centrale del problema è questo. Rimaniamo fermi e ferme su questo fatto. Non ci sarà cambiamento senza sovvertire il presente.
Anche noi saremo in piazza domani a Lucca, con le nostre parole d’ordine.