Ancora liberi di lottare, liberi di odiare. Tutti assolti gli imputati per la contestazione a Renzi

10 giugno 2016. Chi si ricorda questa data, nella nostra città? Pochi probabilmente. Ormai i tempi della memoria collettiva sono sempre più annichiliti dall’istantaneità e dalla obsolescenza rapidissima che caratterizza la comunicazione contemporanea. Cronaca senza storia. In tempi come questi, coltivare la memoria, ridare al passato (anche recente) la solidità che gli spetta, da un punto di vista di parte, è un atto politico imprescindibile per chi vuole combattere l’asfittico presente in cui siamo. Partire da una foto allora è probabilmente la cosa migliore per risvegliare gli smemorati.

Dove siamo? A Lucca, incredibilmente. Quel giorno l’allora premier Matteo Renzi (che sarebbe uscito di scena – ahinoi, solo momentaneamente – dopo la batosta subita il 4 dicembre in occasione del voto sul referendum costituzionale) venne nella nostra città convinto di trovare un’accoglienza se non calorosa quantomeno non ostile. Purtroppo per lui aveva fatto male i calcoli, e niente lo racconta meglio di questa foto. Due mondi contrapposti. Da un lato il teatrino di chiacchere e fasulle promesse di crescita e benessere per tutti, tenutosi davanti a un uditorio di imprenditori, banchieri, politicanti, il cui svolgimento regolare poteva avvenire solo grazie a una ben più solida e concreta schiera di guardie pretoriane armate. Dall’altra un grande corteo fatto di giovani, studenti, disoccupati, lavoratori, che ha deciso con coraggio e determinazione di attaccare e disturbare quel teatrino. Di restituire un po’ di quell’odio che il mondo di sopra scarica sul mondo di sotto: un odio fatto di sfruttamento, cancellazione di diritti, lavoro gratuito, aziendalizzazione della scuola, Jobs Act.

Quello che è venuto dopo sono state le manganellate della polizia, le denunce a scopo intimidatorio, i processi. Oggi possiamo dire che una parte di quel capitolo di storia, quello svoltosi in tribunale, si chiude. Nell’unica maniera decente e accettabile, e cioè quella dell’assoluzione per tutti i manifestanti processati (10 in tutto: 8 lucchesi under 25 a cui si aggiungono un manifestante di Massa e uno di Viareggio). La condanna per l’ex premier e attuale leader di Italia Viva (sic) l’aveva infatti già decretata quella piazza, come le altre centinaia che in tutta Italia hanno praticato, in quei mesi, una sfiducia autorganizzata e autonoma da strumentalizzazioni elettoralistiche.

Ricordare con orgoglio, riportare alla memoria della nostra città quella giornata non è allora un semplice esercizio di memorialistica per pochi. Significa ribadire – e in questa fase caratterizzata dalla mancanza di lotte dispiegate, ce ne è molto bisogno – che non siamo condannati a scegliere tra la destra xenofoba di Salvini e Meloni e il centro-sinistra liberale di Zingaretti rivitalizzato (si fa per dire…) dalle Sardine. Nel mondo, fuori dal nostro acquario stagnante, dall’insurrezione cilena a quella dei gilet gialli francesi, dalle proteste studentesche irachene ai moti indipendentisti in Catalogna, milioni di persone stanno dimostrando che altre forme di politica, di esistenza e potenza collettiva, sono possibili e desiderabili.

La piazza lucchese del 10 giugno 2016, che ha visto la partecipazione e la complicità di singoli e realtà solidali anche da fuori città, nel suo voler manifestare e far esplodere il disagio sociale quotidiano a cui sono condannati pezzi crescenti della nostra società, nel suo essere irriducibile e irrappresentabile da nessuno, si poneva in sintonia proprio con movimenti come quelli che hanno incendiato le piazze di 20 paesi nel corso del 2019.

Oggi che tanti sembrano aver deciso di non avversare l’attuale governo, o addirittura di sostenerlo come male minore per paura del duo Meloni-Salvini, ribadire che nella nostra città c’è stata un’opposizione sociale radicale che non ha accettato e non accetterà mai di essere intruppata in un fronte comune insieme a chi ha approvato il Jobs Act e oggi sta facendo una crociata contro le due uniche misure relativamente progressive varate dal governo gialloverde (Quota 100 e il reddito di cittadinanza), è un esercizio di chiarezza e rottura tanto semplice quanto necessario.

Contro il mondo del capitale, contro i suoi padroni e funzionari, noi restiamo liberi di lottare, liberi di odiare.

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