Il mondo dell’accoglienza durante il lockdown. Intervista a due operatori sociali (1)

Riportiamo due interviste svolte durante la fase 1 del lockdown a due operatori sociali che operano nel campo dell’immigrazione sul territorio lucchese. Due parole meritano di essere spese sulla più generale situazione venutasi a creare a seguito dei Decreti Salvini su immigrazione e sicurezza: nel giro di pochissimo tempo molte persone si sono ritrovate escluse dai programmi di assistenza, costrette a riversarsi in strada e creando così il capro espiatorio preferito da determinati soggetti. Parliamo degli stessi soggetti che creano il problema per poi avere un nemico contro cui combattere, un cane che si morde la coda. Da sottolineare il fatto che dopo ben 8 mesi, il governo nato proprio sull’estromissione di Salvini dall’esecutivo, ha mantenuto bene intatti i suoi decreti. Nessuna differenza tra Conte 1 e Conte 2 insomma.

Altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è quello dell’emergenza abitativa lucchese, e la situazione è drammatica. Le strutture di accoglienza hanno infatti nella maggior parte dei casi pochi edifici a disposizione. Ciò si traduce in una risposta insufficiente a fronte dell’altissima domanda di aiuto, sia a livello individuale che collettivo. E crea un’occasione che i proprietari di edifici e case sparse per la città colgono al balzo, cioè quella di abbassare in maniera eclatante gli standard qualitativi dell’abitare (si parla di beni e servizi necessari e legittimi, non di lussi aggiuntivi), in modo da allargare sempre di più la forbice tra spesa e guadagno, lucrando sulla pelle di chi accetta controvoglia il “male minore”.

Di seguito la prima delle due interviste, pubblicheremo la seconda nei prossimi giorni.

 

1)Che lavoro fai e di cosa ti occupi?

Sono operatore sociale. Dopo anni nell’accoglienza dei richiedenti asilo,  da qualche tempo mi occupo sempre di tematiche legate a marginalità e immigrazione, ma fuori dai circuiti ufficiali dell’accoglienza.

 

2)Prima di parlare della situazione attuale, vorremmo soffermarci su un aspetto molto importante. I decreti Salvini. Cosa hanno cambiato nei fatti questi decreti? Sappiamo che con questi decreti molte persone sono state escluse dai programmi di accoglienza. Cosa sai dirci della situazione lucchese? Questa diminuzione drastica della già precaria assistenza per soggetti in condizioni particolari, che effetto pensi che abbia avuto sulla situazione attuale? Sono aumentati i rischi per coloro che sarebbero dovuti rientrare nel programma di assistenza e che allo stato attuale sono stati estromessi da esso?

Posto che noi abbiamo rifiutato, all’uscita del bando Salvini, di occuparci ancora di accoglienza, perché non venivamo messi nelle condizioni minime per poter lavorare bene con gli ospiti e retribuendo gli operatori adeguatamente, ciò che è cambiato principalmente è che diversi soggetti, che in precedenza non potevano rientrare fra coloro a cui veniva riconosciuta la protezione internazionale, asilo o sussidiaria, ovvero quei soggetti con vulnerabilità fisiche o psichiatriche, cui veniva riconosciuta la protezione umanitaria, adesso non hanno diritto ad una seconda accoglienza.  Parlo di persone, come quelle con problemi di salute mentale che, secondo il principio internazionale del non-refoulement, non possono tornare nei propri Paesi di origine perché non sarebbe garantita loro assistenza sanitaria adeguata, ma che con la modifica degli SPRAR in SIPROIMI devono abbandonare l’accoglienza non appena ricevuto il documento. Documento che, se prima era di durata di due anni, rinnovabile finché la problematica sussisteva e convertibile in permesso di lavoro, adesso ha durata di un anno e non è convertibile. Tutte le persone che hanno ottenuto la protezione umanitaria prima dell’Ottobre 2018 sono quindi in un limbo. Non hanno ancora gli strumenti, e alcuni più gravi mai ne avranno, per avere un’indipendenza, ma non possono nemmeno essere rimpatriati. La situazione lucchese è particolare, perché va detto che in qualche maniera il Comune ha tentato, grazie ad un importante finanziamento europeo mediato dalla Regione Toscana, di arginare il fenomeno. A quanto ne so esistono due strutture sulla Piana di Lucca per questi soggetti, ma sono convenzioni in scadenza. Una per vulnerabilità economiche ed una per vulnerabilità psichiche. Non c’è la certezza se questo finanziamento verrà rinnovato per il prossimo anno da Europa e Regione, quindi se ci sarà una proroga e i comuni della provincia faranno manifestazione di interesse per intercettare questi fondi. I Comuni e le istituzioni di prossimità, d’altro canto, hanno la spada di Damocle sulla testa: se mettono bilancio una tale cifra per persone straniere, le opposizioni e le destre li massacrano a livello elettorale.

Tutto lo sciacallaggio dei sostenitori di “prima gli italiani” che ne verrebbe fuori sarebbe un colpo micidiale per l’amministrazione. Due strutture non sono però sufficienti, pertanto per campare molte persone con permesso umanitario stanno cercando di inventarsi la giornata, a volte dormendo in segreto nelle strutture in cui sono ospiti gli amici, entrando di notte e scappando la mattina presto, a volte dormendo nei dormitori o in stazione. Ovviamente per mangiare si inventano di tutto, quindi quelli meno informati sulle risorse presenti sul territorio, come dormitori, mensa etc, si arrangiano come possono, o finendo nelle reti del racket del “bagging” davanti alle pasticcerie o, immagino, col piccolo spaccio.

 

3)Come siete organizzati in questa fase di lockdown e di isolamento? Credi che siano stati forniti, a voi che ci lavorate e ai migranti, i DPI e tutte le risorse necessarie per far fronte a questa pandemia? Dovete seguire protocolli particolari? Se sì, ritieni siano ben studiati e attuabili?

In questa fase lavoriamo più di prima, sottoposti a grandi volumi di stress. Quando è possibile facciamo telelavoro ma le nostre giornate le passiamo soprattutto “in trincea”. Per noi i DPI erano già presenti sui posti di lavoro, anche perché negli anni precedenti abbiamo lavorato con scabbia, tubercolosi e altre simpatiche patologie, pertanto eravamo già pronti e formati. Poi abbiamo avuto anche rifornimenti abbastanza tempestivi (tranne alcune cose che sono uscite dal mercato e poi rientrate, che sono mancate per alcuni giorni come l’alcool per pulire le postazioni o il gel lavamani, che abbiamo comunque sostituito con candeggina e saponi disinfettanti). Ovviamente i protocolli sono ben studiati, ma non sempre sono attuabili. In questo caso non parlo di noi lavoratori, ma degli utenti. Io non posso prendere una persona che si rifiuta di mettere una mascherina perché psicotica o complottista ed obbligarla a farlo. Posso proteggere me, gli operatori ed il personale che lavora con me, mantenere fra noi le distanze di sicurezza, ma non posso imporlo all’utente. Posso allontanarmi se si avvicina, ma non posso evitare che lo faccia. Per fortuna esiste ancora la responsabilità individuale. Non posso altresì, con chi si prostituisce o vive in strada, fare altro che fornire indicazioni su cosa non dovrebbe fare, metterlo in allarme, chiedergli di mantenere le distanze di sicurezza. Ma spesso non è così.

 

4)Nel tuo ambito lavorativo, ci sono persone positive al covid19? Che procedura dovete seguire in queste circostanze? Pensi sia una buona politica di gestione? Oppure pensi che sia inadeguata, insufficiente, pericolosa, ecc.?

Per quanto riguarda le persone che lavorano e vivono in strada non so dirti. Potenzialmente sì, ma non ci è possibile saperlo. In struttura invece,  posso dirti che abbiamo fatto gli stick sierologici qualche tempo fa e sono risultati tutti negativi. Il protocollo da adottare verrà definito nel momento in cui risultasse positivo al tampone. Comunque a livello lavorativo siamo abbastanza tranquilli che verrà fatto tutto il possibile per mettere in sicurezza l’ammalato, gli altri ospiti e il personale. Bisogna vedere, speriamo che sia così, che anche le istituzioni con cui abbiamo convenzione ci mettano a disposizione spazi adatti ad una quarantena.

 

5)Cosa sai di altre realtà che si occupano di accoglienza nella Provincia di Lucca? Ci sono situazioni ad alto rischio, palesemente mal gestite, probabilmente dovute al possibile sfruttamento delle risorse economiche che gravano attorno a questo “settore” o qualsiasi altra situazione negativa o anche un sistema generale ormai al collasso oppure marcito?

Non essendo più a diretto contatto con l’accoglienza ho poche notizie, anche la rete fra operatori che c’era prima si è sfaldata. Posso dirti però, ed è cronaca, che se continuano ad esistere mega strutture con più di 15 ospiti, oltre il fatto che la qualità del lavoro è peggiore, anche la promiscuità può essere un elemento di possibile contagio e messa a rischio. Ma i decreti Salvini e Minniti hanno sempre promosso chi avesse edifici di proprietà con molti posti letto a discapito di chi affittava piccole case per piccoli nuclei. Dicevo che è cronaca, perché proprio una settimana fa in Versilia c’è stato un caso di covid in una enorme struttura. La cosa ha suscitato anche un po’ di problemi, soprattutto perché l’ospite in questione nei giorni precedenti si era recato in svariati altri centri di altre associazioni, e gli operatori non hanno avuto possibilità di avere informazioni dalla tracciatura degli spostamenti, a causa delle regole sulla Privacy.

 

6)C’è da immaginare che la convivenza forzata h24 nelle strutture adibite per i Cas (così come per gli Sprar ma altresì in ogni condizione di coabitazione tra più persone) possa dar luogo a situazioni delicate. Come affrontate questa possibile emergenza? È previsto un sostegno psicologico qualificato?

Il sostegno psicologico qualificato ci sarebbe, ma è stato sospeso a causa covid. Del resto, nonostante le risorse siano pochissime per fare una supervisione adeguata (campiamo per bandi di progetto in cui spesso non viene proprio contata la supervisione), non abbiamo nemmeno tutto questo tempo per passare delle ore in riunione su skype con una psicologa. I nostri operatori e i nostri ospiti sono al limite del burnout, si stanno anche verificando liti e violenze quotidiane. Ma abbiamo abbastanza pelo sullo stomaco, veniamo dal bando Minniti. Per quanto riguarda gli ospiti siamo riusciti ad ottenere un protocollo con una etnopsicologa grazie ad una collaborazione fra Asl e comune. Lei ci aiuta molto con i ragazzi, tramite colloqui skype, ma alcuni rifiutano il colloquio, perché paranoicamente lo vedono come un tentativo di colonizzare la psiche. Va detto che molti africani, nigeriani in particolare, sono stati convinti per lungo tempo che il covid fosse una cosa solo dei cinesi e dei bianchi, che non contagia i neri, e che i neri contagiati vengono infettati in ospedale dai medici che fanno i test. Come vedete le fake news non hanno frontiere, ed ognuno ha i propri complotti.

 

7)Come vengono gestiti i rimpatri durante questi mesi di emergenza? Dalle misure prese ne risultano problematiche?

A quanto ne so non ci sono rimpatri in questo periodo. L’unica cosa di cui non si ha notizia e che mi preoccupa molto è la situazione dei centri adibiti alla permanenza prima del rimpatrio (CPR). Sono luoghi sovraffollati in cui la permanenza può essere molto lunga, quindi a livello epidemico molto pericolosi. Credo che anche Amnesty abbia portato una richiesta di indagine governativa.

 

8)Pensi che la gestione di questa emergenza sanitaria, a livello nazionale, sia stata la migliore possibile o credi che qualcosa (se non quasi tutto) debba essere cambiato? 

Il problema della gestione dell’emergenza, come del resto di tutte le emergenze, è l’aspetto patologicamente schizofrenico che hanno le istituzioni, nessuna esclusa, nello stare sulla notizia. Sembra che le istituzioni facciano ciò che il top-trend dei social richiede ogni giorno. È chiaro che, strutturalmente, il problema internazionale è strettamente legato ad una buona o cattiva sanità pubblica ed un buono o cattivo accesso ai servizi. È altresì chiaro che determinate misure dovevano essere prese da subito, ma che non è accettabile non essere ancora arrivati ad un’indagine a tappeto delle persone infette o meno. I tamponi servivano da subito, su tutto il territorio nazionale, e a tappeto. Sulla base di quello si definiva il lockdown. Non ha avuto senso questo alternarsi di permissività e coercizioni, aspettando di giorno in giorno il bollettino del contagio.

 

9)Per quando l’emergenza sanitaria potrà dichiararsi terminata, come credi che sarà gestito il sistema dell’accoglienza? Ti aspetti (tu ed eventualmente i tuoi colleghi) che la situazione possa migliorare o l’aria che tira fa presumere che ci saranno ulteriori smantellamenti e diminuzione di diritti sull’accoglienza?

Io vorrei lanciare una provocazione. A me dell’accoglienza interessa relativamente. È il mio lavoro, lo amo e so quanto sia necessario. Ma prima dell’accoglienza dovrebbe esserci l’accesso ai servizi. Per l’accesso ai servizi vanno smantellate la Bossi Fini, la Turco Napolitano, il decreto Minniti e il decreto Salvini. Non è nemmeno un discorso di SPRAR, SIPROIMI o quello che vogliono. Qui il problema è il permesso di soggiorno. Se io oggi sono considerato matto e ho il diritto di avere accesso ad un documento di protezione significa che il sistema sanitario nazionale mi DEVE prendere in carico. Significa che non ho diritto all’accoglienza ma ad essere assistito, SE VOGLIO, o andarmene per la mia strada come qualsiasi altro matto, finché non sono un pericolo per me o per gli altri. Ma significa, soprattutto che io matto resterò per molto tempo, quindi non è possibile che esistano documenti che non siano rinnovabili o convertibili. Pertanto o questo governo si decide ALMENO a modificare il paragrafo del decreto Salvini che istituisce che il permesso per Casi speciali (sostitutivo dell’umanitario) non è rinnovabile e non è convertibile, o la prossima catastrofe sociale non sarà il covid19 ma una massa di persone vulnerabili, la cui storia è stata riconosciuta degna di protezione dalla Commissione Territoriale, ma che sono diventate clandestine per decreto.

 

10)L’emergenza abitativa è un problema estremamente grande in Italia e Lucca non ne è un’eccezione, solo che non sembra mai emergere pubblicamente questa problematica. Per quello che ne puoi sapere, la situazione sfratti e la conseguente problematica abitativa che proporzioni ha nella Piana di Lucca? La gestione e le risorse impiegate sono sufficienti a garantire condizioni di sussistenza adeguate per gli individui e le famiglie in condizioni di difficoltà? A Lucca ci sono più di 300 sfratti l’anno ma non se ne parla mai, oltre a tutte le persone che sono rimaste fuori dall’assistenza coi decreti Salvini…

La situazione sfratti a Lucca è in linea con quella nazionale, nelle dovute proporzioni. La nostra è però una società molto frammentata in cui non esistono grandissimi agglomerati popolari. Comunque avete letto tutti la cronaca di questi giorni. L’emergenza abitativa a Lucca è principalmente sfruttamento abitativo. Una sorta di caporalato, racket che specula sugli stati di bisogno. Ed è un fenomeno enorme, gestito in mille maniere diverse. Spesso da datori di lavoro che ospitano a nero in strutture fatiscenti i lavoratori, spesso da badanti conviventi a nero, invisibili ai più, spesso da forme di sfruttamento interne alle comunità di stranieri, spesso da loschi figuri che creano agenzie di affittacamere. Insomma, il fenomeno del diritto alla casa qui è più invisibile perché non è tanto legato agli sfratti eclatanti ma alle condizioni stesse dell’abitare. La gestione non è sufficiente e mai lo sarà per diversi motivi. Uno fra tutti il diritto alla residenza. Poi, ed è altro fattore fondamentale, il discorso delle risorse economiche. Serve un piano casa che non si limiti alle strutture emergenziali portate avanti dal privato sociale. Non possiamo credere che una cinquantina di posti letto divisi fra le diverse strutture del privato sociale, in cui esistono comunque delle tempistiche e delle scadenze, siano la soluzione ad un problema che è chiaramente l’insufficienza di edifici residenziali pubblici e la scarsità di risorse ai servizi sociali pubblici. Poi ben venga il privato sociale, ma quello dovrebbe essere il jolly, l’elemento che risolve provvisoriamente lo stato emergenziale o il caso più complicato. A me pare che il privato sociale sostituisca i doveri del pubblico.  Ci sono i dormitori e le mense di carità che arginano il problema, perché mai le istituzioni dovrebbero prendersi l’accollo di attivare residenze fittizie per homeless italiani (facendoli così pesare nel welfare pubblico e nei censimenti ISTAT) e avviare progetti di reale presa in carico dal servizio sanitario nazionale di soggetti, particolarmente vulnerabili e titolari di permesso di soggiorno, che vivono soltanto grazie a progetti in convenzione fra amministrazioni locali più o meno illuminate e enti del privato sociale? (Attenzione, questo non significa che il servizio sociale o l’accoglienza interamente gestiti dal pubblico siano migliori. Ho esempi, nella mia esperienza, di strutture SPRAR sparse in tutta Italia, a completa gestione pubblica, dalle quali nostri ex ospiti fuggivano e ci chiedevano aiuto per uscirne. Per lavorare bene nel sociale servono qualità che non sono misurabili attraverso titoli di studio o provenienza dell’ente.)

Ma questa non è Lucca, è uno smantellamento globale di welfare che si perpetua da decenni, e che ha trovato il suo gioiello nel patto di stabilità delle amministrazioni locali. Quindi la gestione non sarà mai sufficiente né mai lo sarà, perché non esiste via di uscita che non sia un radicale cambiamento del sistema.

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