Solidarietà ai lavoratori vittime del pestaggio poliziesco a Peschiera Borromeo (MI)

Sembra ormai lontana, entrati a pieno regime nella cosiddetta “fase 3”, la melensa retorica di cui erano intrise le prime settimane della pandemia. Nella lente distorcente della classe dominante, coloro che erano costretti a presentarsi quotidianamente a lavoro nonostante i grossi rischi che si prendevano e nonostante la negligenza delle precauzioni erano santificati ad eroi che, sprezzanti del pericolo, continuavano a far andare avanti il paese (leggasi i profitti astronomici dei padroni). Cosa succede quando però questi eroi escono dalle righe? Vengono repressi, violentemente se necessario, come per i lavoratori in sciopero davanti alla hub Fedex TNT di Peschiera Borromeo a Milano nella notte tra l’11 e il 12 giugno.

Causa del sollevamento il licenziamento di un’ottantina di lavoratori interinali assunti tramite Adecco, sfruttati come manodopera a salario irrisorio durante la pandemia e poi prestamente liquidati. Pare che tra le motivazioni non ufficiali ci sia anche la loro partecipazione allo sciopero indetto per lo scorso Primo Maggio, data almeno un tempo intrisa di significato. Col susseguente braccio di ferro coi padroni, allergici a qualsiasi rivendicazione sindacale, il sindacato SI Cobas aveva indetto per Milano un ennesimo sciopero appunto davanti ai magazzini Fedex di Peschiera. Arrivata la sera si radunano davanti ai cancelli un centinaio tra lavoratori e simpatizzanti ma dopo poche ore fa la sua comparsa anche la Polizia, con un immenso dispiegamento di forze: ben 7 blindati e numerose volanti Digos. Il clima diviene subito pesante ed è evidente che c’è la volontà da parte delle divise di annichilire il dissenso che si era venuto a creare. Fortunatamente il clima viene alleggerito quando i delegati SI Cobas riescono a strappare un incontro in prefettura per cercare un accordo; la polizia però non è ancora soddisfatta, ha il bisogno di mostrare i muscoli. Improvvisamente gli agenti iniziano ad avanzare e gli scioperanti, per non rischiare una carica, si siedono per terra. I poliziotti hanno comunque iniziato a prendere a calci, pugni e manganellate in testa e sul dorso i presenti, che evitando una risposta violenta si rannicchiano insieme per resistere ai colpi. Le divise riescono infine a dividere i manifestanti in due gruppi, uno nel piazzale e uno contro i cancelli. Ancora non contenti, decidono di caricare i lavoratori che accorrevano a soccorrere i compagni a terra e salvarli dalla furia poliziesca e poi continuano a caricare i lavoratori schiacciati tra i cancelli e il cordone della polizia. Nel loro comunicato SI Cobas racconta di diversi presenti scaraventati a terra e lasciati tramortiti da colpi e manganellate alla testa date gratuitamente e una violenza inaudita nei confronti di chi cercava di sottrarre al pestaggio di stato i propri compagni: è evidente, nella spropositata violenza e odio di questa mattanza, fermatasi solo con l’arrivo di ben cinque ambulanze, la volontà delle forze dell’ordine di reprimere ogni dissenso in un bagno di sangue e ci fa sorridere la giustificazione che la questura ha dato a questa vigliaccheria dicendo che “si stava bloccando il flusso di merci anche essenziali”.

Guardando all’attualità negli USA (ovviamente mutatis mutandis e senza il sottotesto razziale che in Italia, pur senza dubbio presente, non è incisivo allo stesso modo) viene da chiederci se sia giunto anche in Italia il momento di mettere in discussione la legittimità dell’azione delle forze dell’ordine che a più riprese si sono dimostrate irriformabili. La retorica delle mele marce non funziona quando ci soffermiamo ad analizzare i fatti di violenza poliziesca tristemente noti come il G8 di Genova, il caso Cucchi o Aldrovandi (ucciso tra l’altro nelle stesse modalità di George Floyd) e vediamo che i responsabili non solo sono stati protetti e coperti dai loro superiori ma persino premiati. Scene di repressione simili a quelle di Peschiera Borromeo (cariche a freddo e pestaggi senza alcun tipo di provocazione), ci parlano di un livello di scontro che potrebbe farsi quotidiano nei prossimi mesi – che saranno segnati da una crisi sociale ed economica pesantissima -, con l’obiettivo di terrorizzare e indebolire i percorsi di lotta già in essere o quelli ancora agli stadi iniziali. Nessun lamento vittimista. Ciò sta nell’ordine delle cose di un sistema di potere in crisi di legittimità, occorre prepararsi. Ripensare materialmente a una prassi di autodifesa efficace nello stare in piazza, rivendicandola esplicitamente anche, potrebbe essere una necessità non più rinviabile.

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